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Le ristampe sono sempre qualcosa di molto positivo: certificano l’importanza di tracce prodotte un bel po’ di tempo fa, fanno riscoprire ad un pubblico più giovane e, nel nostro caso, particolarmente recettivo, feeling e visioni straordinariamente attuali e fruibili.

Take me back to the way it used to be” è il motto di questa ultima release targata Invade Records, la prestante label di Ilario Liburni: tornare indietro al tempo in cui la polvere sul disco di vinile era un elemento di forza della club music, in cui le tracce venivano prodotte tramite circuiti analogici e per colpire inequivocabilmente petto, gambe e cervello.

Mystic Bill era ed è sempre stato un pioniere underground, fin dal tempo in cui Chicago e Detroit erano i due poli di movimenti artistici fondamentali quali House e Techno. Vedere riconosciuto il suo lavoro, dopo più di 20 anni di distanza dalla release originale di “Take Me Back“, è una gioia per gli appassionati del movimento Acid House e non solo.

Il lavoro della Invade però non si ferma ad un semplice remaster: il disco (in uscita il 7 Dicembre), contiene due remix: uno fornito dallo stesso Liburni ed il secondo da sua maestà del dancefloor Ricardo Villalobos. Ma scendiamo nel dettaglio:

La prima traccia della release è ovviamente la traccia originale del 1990, con il suo ritmo spesso e selvaggio, ed il groove acid a cui nessuno di noi riesce a resistere.

Il primo remix, a cura di Ilario Liburni, rende la traccia più accessibile ad i dancefloor moderni: basso più gommoso, drum rotolante e vocale particolareggiato da un pitching ipnotico. Una traccia perfetta per il momento clou di un party, in cui l’intensità del groove è quasi al suo massimo.

Ovviamente la remix di Villalobos non può che essere aggettivato in questo modo: ipnotico, irregolare, intenso. “Ti ci perdi dentro e non ne esci più” direbbe un mio amico più diretto in termini di linguaggio. La traccia di ha momenti, fasi sovrapposte ed in continua vibrazione, la drum avvolge il pad , vocals e synth, e l’ascoltatore non riesce più a riconoscere se stesso nell’ascolto.

Mirno Cocozza