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Ci troviamo a parlare di uno degli album forse più attesi di questo 2016, da quando se ne ebbero prime indiscrezioni a partire da metà Luglio di quest’anno, l’interesse attorno “Appropriation Stories” di Shifted è andato in continuo crescendo, una direzione unilaterale a chiara testimonianza del significato di questo lavoro.

A pochissimi giorni dalla release di questo album di Shifted che uscirà su Hospital Productions, cerchiamo dunque di fornire un’inquadratura specifica, essenziale ed il più propriamente realistica possibile dando come dato di fatto quell’imprescindibile coefficiente di autonomia tra un’interpretazione oggettivamente vera (per quanto sia possibile riferendoci agli attributi di un qualcosa che per sua stessa natura sfugge da una considerazione del genere) ed una ben più predominante componente di analisi intima ed introspettiva.

Liberi da ogni preconfezionata preferenza, adottiamo una lente d’indagine che sia quanto mai pura e sterile da ogni schema già definito, sicché il prodotto finale di questa analisi, nient’altro che le nostre considerazioni, siano quanto mai condivisibile e coerente al punto di prospettiva di ognuno.

Innanzitutto, come primo passo, muoviamoci così da collocare temporalmente Appropriation Stories, in riferimento soprattutto all’orizzonte ove inserito.

Risale al 2012 il primo solo LP firmato Shifted, intitolato“Crossed Paths” ( album che segnò il debutto dello stesso Guy nei suoi nuovi panni dopo la fine della parentesi Commix) venne pubblicato dalla Mote-Evolver Records, etichetta fondata nel 2006 da Luke Slater.

Da allora, si dovette aspettare un altro anno prima di assistere ad una release “dello stesso prototipo”; era il 2013 e veniva rilasciato dalla  Hospital Productions l’album “Under A Single Banner”.

Ad oggi, Dominick Fernow (founder della Hospital, sicuramente meglio noto ai più dietro i molteplici progetti Vatican Shadow, Ash Pool, Vegas Martyrs, Exploring Jezebel, Christian Cosmos, Mitochrondiral DNA, Rainforest Spiritual Enslavement) abbraccia Guy Brewer; un incontro che, metaforicamente parlando, profuma di esplosivo.

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Qualche capoverso fa, abbiamo accennato ad una certa e non meglio definita parentesi Commix; per chi non sapesse a cosa/chi ci stiamo riferendo, ci accingiamo a fare immediatamente ordine nei suoi pensieri (e non lo facciamo solo per esemplificare il discorso, ma quello che andremmo a scrivere proprio dal prossimo punto a venire ci funge da presupposto fondamentale anche in funzione della stessa recensione che ha per oggetto Appropriation Stories).

Shifted è un universo di Guy Brewer nato all’incirca attorno il 2012 (con l’album di debutto citato poco sopra), una “creatura” fondamentalmente giovanissima; in realtà, è essenziale ribadire che la figura di Brewer in quando produttore e compositore, nasce molto, molto prima l’avvento di Shifted, già attorno il 2000.

Ma allora di cosa si è occupato in questi 12 anni? 

Proprio in quell’anno, Brewer incontra ad una gara internazionale di Pokèmon, Conrad WhittleGeorge Levings. I tre, oltre che ad essere appassionati dei famosi mostriciattoli giapponesi creati da Satoshi Tajiri, sono fortemente accomunati tra loro dal genere D’n’B. Decidono allora di mettere su il gruppo Commix (che da trio, diventerà ben presto duo sicché Whittle abbandonerà il progetto molto presto) in brevissimo tempo, saldo punto di riferimento di questa scena elettronica.

Siamo nel pieno del primo decennio del 2000, non dimentichiamolo, in Inghilterra la comunità dei 170 bpm si sta imponendo come non mai, è un territorio estremamente dinamico e fertile, e i Commix sono sulla più alta cresta della più impetuosa onda. Li nota ben presto Goldie, assoluta leggenda del panorama, che apre loro le porte di Metalheadz, etichetta di sua fondazione e trascinatrice dell’intero movimento.

Proprio da quì, i Commix vedranno pubblicati la maggior parte dei loro EPs (a titolo di curiosità, vi suggeriamo vivamente l’album “Call To Mind”, assoluto capolavoro, pubblicato nel 2007 e oggetto poi nel 2010 di un globale remix-project sotto il nome di “Re: Call To Mind”, affidato ad artisti come Marcel DettmannSighaPangeaBurialDBridgePedestrian, Kassem Mosse, e con la partecipazione persino di Underground Resistance).

Con la fondazione di Avian, Shifted dirà addio alla cassa sincopata per abbracciare, come sappiamo, tutt’altro genere. Tuttavia, il progetto Commix esiste ancora ed è portato avanti in solitaria da Levings.

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Alla luce di ciò, era davvero necessario richiamare tutto questo? 

Si, se non addirittura fondamentale! Lo intuiamo e lo possiamo affermare con altrettanta certezza dallo stesso significato che riviste “Appropriation Stories” nella sua terminologia allusiva: riferisce difatti a quel principio fondamentale dell’ auto-appropriazione, nell’esattezza, un appropriazione di non tutto sé stessi, ma del proprio passato, di quell’imprescindibile mole di consolidate esperienze, se non addirittura certezza, da cui non è mai facile slamarsi pur, paradossalmente, volendolo ardentemente (difficilmente si è disposti a rinunciare categoricamente a tutto ciò che ha in qualche modo contribuito alla propria formazione).

In virtù di questa semplicissima concetto, l’album di Shifted è da interpretarsi quale elementare tassello di un continuo temporale, in cui, ciascuna porzione, ciascuna frequenza, mai potrebbe considerarsi tale nella sua singolare manifestazione qualora non facesse capo ad un sistema più grande di sé; dunque, un riflesso di essa e di ciò che ne è venuto prima.

Nel concreto, provando a parafrasare più semplicisticamente, in Appropriation Stories c’è abbastanza Commix rispetto la misura in cui è presente Shifted, lungi questo da una netta e marcata posizione di predominanza.

Dire “il passato è un fantasma che bussa alla porta”, non è mai stato giusto come adesso; ma attenzione, questo non vuol dire ammettere che Appropriation Stories sia un album propriamente D’n’B, si rischierebbe di illuminarvi un’aspettativa quanto mai fuorviante, il tal caso infatti dovremmo parlare di un “semplice” ritorno alle origini, quando all’invero quì si ha a che fare più che in ogni altro modo con una progressione.

Esattamente che album è Appropriation Stories di Shifted preso nella sua integrità? Quali emozioni suscita?

Prima di affidare uno quadro d’attributi ad ogni traccia, vogliamo prima provare a darvi un’immagine dell’album nella sua interezza; le considerazioni che si potrebbero svolgere a tal riguardo sono delle più variopinte, una scala di colori che abbia come unici estremi il bianco ed il nero, senza tralasciare però ogni possibile sfumatura di grigio nell’intramezzo.

Provando a dare una più compiuta forma letteraria a quanto non appena enunciato, possiamo riassumere questo non-meglio-definito-schema-di-cose potendo ridurlo a tre semplicissimi termini di comune impiego: concretezza, integrità, minimalismo, aggettivi cui possiamo ricorrere (in un primo senso approssimato) anche qualora stessimo parlando di una singola track, dunque riportando il discorso in scala ridotta.

Riservandoci da una spiegazione in merito il terzo ed ultimo per ovvie ragioni, preferiamo incentrarci sui primi due: il primo, concretezza, in quanto l’esperienza di ascolto tramanda effettivamente una vivida sensazione di cui non se ne possono ignorare gli effetti; i sensi si focalizzano e concentrano, gli occhi provano a tradurre quanto le orecchie recepiscono in delle fanta-composizioni geometriche il cui movimento è fonte di impulsi continui ma singhiozzanti.

Concreto perché ne esiste quasi la tangibilità tattile tanto sono gonfi e dilatati i suoni, veri e propri rapitori del più superficiale strato di coscienza.

Arriviamo al secondo, integrità. Integro, in un tale contesto, a voler significare coerente, “A cosa?”, vi starete chiedendo, noi vi rispondiamo con un “A tutto!”. Si, a tutto, perché quello che possiamo sinceramente considerare come uno dei migliori lavori mai prodotti da Shifted, anche in ragione (se non addirittura solo per causa) di quella che è la natura più intima e introspettiva di un progetto del genere e su cui abbiamo già ampiamente discusso, avrebbe sinceramente rischiato di de-naturalizzarsi eccessivamente da quell’animo cui ci siamo ormai abituati a recepire negli anni, invece no: nonostante quel ne costituiva il corpus di base fosse un qualcosa con una proiezione ben delineata, ciò che poi si è venuto a costruire sopra è rimasto fedele e lucido alle aspettative, forse anche superandole.

“For Closure” e “Resin & Lacquer” con tutta sincerità sono state inserite tra le preferite (ma voi non lasciatevi condizionare). Possenti, miliari, eterne, mastodontiche; assorbono e rigettano da uno stato di natura all’altro, squarci ruggenti che sembrano dilatarsi all’infinito senza mai strappare il loro tessuto.

Citiamo poi “Vacive”“Flatlands” e “Watchers”; lasciateci passare il termine poco ortodosso e certamente non professionale ma sono delle vere e proprie cavalcate, sequenze analitiche e perpetue della stessa funzione d’onda.

Gli accenti graffianti e predatori che le distinguono, fanno di queste due tracce delle fitte reti dalle maglie strette da cui risulta difficile districarsi; eppure, nel complesso, la sensazione è piacevole ed ammaliante, volendo aggiungere, seducente.

Se prima si raccontava di cavalcate, “Spires” è allo stesso tempo il frenetico immobilismo antecedente alla scenario di una feroce detonazione, e l’incontenibile entusiasmo derivante. Un’acuminata scalpitazione che non conosce perimetri finiti, le possibilità che diventi il vostro ascolto di punta sono davvero considerevoli.

Molto singolari, in riferimento alla totalità del lavoro, sono “Life Backwards” e “In Respect Of Tactics”. Sembrano completamente decontestualizzate andando ad analizzare quel mare agitato dove si muovono, rispetto soprattutto la loro natura più sincopata, o meglio, arrotondata.

Ci piace tuttavia immaginarle più che altro come dei giri di boa, brevi ma intense riprese d’aria, una piccola tregua in preparazione degli ordini che verranno.

Ci siamo lasciati per ultimo la traccia d’apertura e quella di chiusura, rispettivamente, “This Passage” e “The Faintest Trace, The Quietest Whisper”.

Forse avete anche notato che abbiamo deciso di esporvele insieme, la scelta non è assolutamente casuale.

Sono due tracce così scandalosamente ben concepite; dicotomiche, parallele, diametralmente opposte ma oltre ogni concepibilità complementari, perfettamente complementari.

Non sono ottimamente architettate tenendo solo conto dell’una rispetto l’altra, ma anche di tutto quello che si muove di mezzo, delle altre otto di cui sinteticamente riportato sopra.
This Passage, concedendoci un piccolo sforzo d’astrazione, assurge veramente a qualche astruso e metafisico portone a confine tra di uno spazio e l’altro; sappiamo quello che lasciamo alle spalle, attendiamo di scoprire cioè che autonomo di una vibrante vita propria dall’altra parte.

Per un certo senso, le sonorità sono specchio di quell’ingenua ma ragionevole ansia che si vive quando in procinto di cogliere spazi e costumi dall’indefinibile conformazione a priori.

Ribadiamo la completa atipicità di The Faintest Trace, The Quietest Whisper; quella pesantezza, quella carica, quell’energia fin’ora accumulata va improvvisamente dissolvendosi in uno stato “liquido” di quiete.

Le Stories sono terminate, un ennesimo capitolo ha posto fine su di sé, con la consapevolezza che ogni termine, altro non è che un nuove punto d’inizio.

Appropriation Stories di Shifted sarà disponibile dal 18 Ottobre in formato digitale, doppio LP, CD e cassetta.

Tracklist:
1.
This Passage
2.
Vacive
3.
Flatlands
4.
Life Backwards
5.
Resin & Lacquer
6.
Watchers
7.
For Closure
8.
In Respect Of Tactics
9.
Spires
10.
The Faintest Trace, The Quietest Whisper

Riccardo Di Marco