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Non è per nulla facile valutare un artista. Lo è ancor meno quando quest’artista è sia dj, sia producer come nel caso di Architectural. C’è chi sembra essere convinto che la valutazione sia da basare quasi interamente sulla capacità di intrattenere; ciò presuppone che, se riesci a far ballare per ore la folla, tu sia un grande artista, a prescindere dai dischi che fai girare. Vien da sé che sarai asservito al volere della folla e sfornerai composizioni dalle sonorità ritmate e facilmente godibili, probabilmente povere in ricercatezza, che andranno a finire nella tua borsa con altri dischi ugualmente “allegri” e ballabili, tutto “a portata di massa” in sintesi. Discutibile.

Un’altra scuola di pensiero, sostanzialmente contrapposta alla prima, è composta da quei puristi che mal sopportano qualsiasi prodotto musicale destinato alla folla; essi vagano alla ricerca di qualcosa di veramente (a volte forzatamente) underground, mai sazi della techno più di nicchia. Non gradiscono i beat scontati, odiano le ripartenze e nella loro personalissima visione della musica una produzione, per essere apprezzata, deve essere fatta di melodie complesse e per nulla “mainstream”.

Ora vi starete, giustamente, chiedendo il perché di questa premessa. Ve lo diciamo subito. L’EP “Seven” di Architectural, in uscita il 19 Febbraio in vinile e il 21 marzo in digitale sulla sua omonima label, riesce in un’impresa rarissima per un disco: mettere d’accordo visioni artistiche così concettualmente discordanti.

I due brani, 7.1 e 7.2 di Architectural, contenuti in questo EP sono un vero e proprio ibrido tra il pezzo che fa esplodere il dancefloor e l’opera fuori dall’ordinario, figlia della mente contorta di un geniale produttore.
La prima traccia in particolare, grazie a una bassline molto profonda e a suoni acidi e distorti, trascina l’ascoltatore in un viaggio che gli rende impossibile non muoversi a ritmo, ma gli permette comunque di degustare il complesso lavoro mentale dietro all’elaborato. Si può dire che 7.1 stia alla musica elettronica come la Divina Commedia sta alla letteratura: un’opera che entusiasma il “popolo” e che, allo stesso tempo, affascina esperti e palati fini per l’intrinseca qualità oggettiva; che infiamma la pista di un locale senza essere affatto snobbata dai più schizzinosi.

Il secondo brano di Architectural, 7.2, è alquanto interessante, invece, per la sua apparente incompiutezza; il basso regolare, buio e martellante porta chi ascolta ad aspettarsi un exploit che non arriverà, se non parzialmente e in forma per nulla scontata. Nell’essenza sono sette minuti di climax ascendente in cui si passa inesorabilmente dalla relativa calma alla tempesta. Il lavoro di Architectural piacerà in particolare ai cultori della techno più dark, profonda e ragionata.

Credo sia inutile specificare quel che è già chiaro, ovvero che chi sta scrivendo è rimasto estasiato e piacevolmente stupito da questo EP di Architectural, il settimo dell’artista spagnolo Juan Rico (Reeko) sotto lo pseudonimo di Architectural. Un disco ineccepibile e curatissimo in ogni particolare, che unisce tutti i gusti stilistici senza, però, scendere ad alcun compromesso.

Alberto Zannato