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In Europa ci sono sempre meno club ma la club culture rimane più viva che mai.

La cosa risulta piuttosto allarmante, soprattutto pensando al periodo abbastanza florido e prolifico che la musica elettronica underground sta vivendo, ma non così negativa come molti amano far pensare.

Un recente articolo dell’Economist raccoglie una serie di dati sul tema, riportando il calo del numero di club olandesi del 38% mentre, in Inghilterra, dei 3144 club registrati nel 2005 ne rimangono, dieci anni dopo, solo 1733. Anche a Berlino, capitale europea del clubbing, molti locali chiudono, anche perché non sono più disponibili quei magazzini e quelle fabbriche abbandonate in cui proliferò la club culture negli anni ’90.

In realtà le cause di questo declino, come descrive l’Economist, sono moltissime. La prima, forse quella che fa più discutere, è di natura socio-economica: nelle città economiche si vive meglio, e la popolazione borghese non accetta volentieri beat assordanti e gente ubriaca fuori dalle proprie abitazioni. Ciò comporta una serie di conflitti tra i rappresentanti della vita notturna e la popolazione civile. I primi cercano di tutelarsi con strumenti come il “Sindaco della notte”, un rappresentante che dovrebbe mediare tra il governo e l’industria dell’intrattenimento.

La seconda, senza mezzi termini, siamo noi: personalità del nuovo millennio che vogliono maggiore vivibilità nelle città. Le stesse persone che non sono disposte a pagare 20 euro per l’ingresso in un club, più altri 10 per ogni drink che vogliamo consumare, per sentire il dj resident suonare dischi di persone che avremmo trovato nella line up di un festival, magari pagando la stessa cifra.

Difatti uno dei dati più interessanti è proprio l’aumento dei festival all’aperto e dell’utenza di quest’ultimi: nel 2004 in Inghilterra se ne contavano 80, contro i 250 di questo 2015. “Molte persone risparmiano per andare a due grandi festival all’anno, piuttosto che fare clubbing ogni mese” dice il dj Iason Chronis. Questi festival accolgono più persone, hanno più budget e si possono permettere nomi altisonanti come Calvin Harris o Jamie XX. Oppure possono mantenere un profilo basso e proporre line up di artisti underground, interessanti ed innovativi, come quelli che trovate recensiti sul nostro sito.

Un altro dato interessante è che i giovani tra i 15 ed i 34 anni consumano sempre meno MDMA ed ecstasy, stupefacenti associati spesso al clubbing ed alla vita notturna. Aumentano sempre di più gli astemi e personalità interessate alla musica ma con uno sguardo più cosciente nei confronti della qualità sonora. Negli ultimi anni, infatti, si registra una maggiore attenzione al soundsystem nei club, nei festival e perfino nei lounge bar: ne son esempio il Sonos Studio di Londra, dove si può sorseggiare un caffè in un’ambiente acusticamente perfetto, ed il Despacio soundsystem, creato da James Murphy degli LCD Soundsystem e dai 2ManyDJs, uno dei numerosi impianti audio richiesti nei festival per la precisa ed avvolgente esperienza sonora.

Il calo del numero dei club europei è soprattutto una conseguenza del modo in cui le persone concepiscono il clubbing e la club music e non può necessariamente essere associato ad un declino. Sono cambiate le attitudini, i media tramite i quali ci aggiorniamo musicalmente, i generi musicali. Non è irragionevole pensare che cambino anche i luoghi in cui la club culture si esprime.

Mirno Cocozza

(Via TheEconomist)