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Facciamo qualche passo indietro, negli anni ’80, in cui tutto stava andando delineandosi: il termine “techno” proprio non esisteva ancora, e sarebbe comparso verso la fine della decade, mentre la house di Chicago era già un albero con qualche anello di corteccia in più.

Ora, prendiamo un autorevole esponente della musica elettronica di quel periodo come Keith Tucker. Stando a quanto dichiara la pagina ufficiale Discogs, Tucker è “uno dei veri detentori della fede per la pura electro music”. Negli ’80 si è fatto le ossa mixando la musica di Juan Atkins e di altri giganti della “prima ondata”, nei ’90 si è affermato con gli Aux88 e ha fondato con Anthony “Shake” Shakir l’etichetta Puzzlebox. Chi meglio di lui poteva delineare una guida di pietre miliari dell’epoca? Chiunque voglia farsi una cultura sui momenti salienti della musica nella “Città dei Motori” e del suo background elettronico, prenda nota e presti orecchio alle tracce che seguono.

Cybotron – “El Salvador”

Cybotron è il nome del sodalizio tra Juan Atkins e Richard Davis, iniziatori di questo enorme ramo della musica elettronica. Sono i primi ruggiti della Roland Tr-808, anche questa divenuta leggenda e ancora oggi osannata come suono ineguagliabile.

Dopplereffekt – “Porno Actress”

Detroit si è sempre affacciata all’Europa, la cui elettronica in quegli anni seguiva un’evoluzione a sè stante. Già la base fa il suo, ma quando entrano anche le voci, fredde, imperturbabili, da androide, non credo si possa non pensare ai Kraftwerk. Chiaramente l’ “argomento” del brano è ben più malizioso rispetto ai temi più nerd del quartetto tedesco. Il tutto è per di più accompagnato da un volto in 3D che rende ancora meglio l’effetto sintetico e de-umanizzato, in una grafica che oggi ci potrà sembrare di una grossolanità imbarazzante. E’ anche questo un tema ricorrente nella musica elettronica di quel periodo, in cui si espandeva l’industria, e la robotica impattava pesantemente sul tasso di occupazione mandando in crisi molti lavoratori.

Aux 88 – “My a.u.x. mind”

Questa è del 1995, gli albori di Aux 88, mentre Model 500 a.k.a. Juan Atkins già si era consolidato nella scena. E’ una traccia-tipo di Aux 88, con una forte componente vocale a muovere il tutto, e che ha fatto scuola.

Model 500 – “The Future”

Avendolo già nominato, ed essendo evidente il suo peso in questa saga, non poteva mancare Model 500. Si noti a 2:17 il loop di voce e il beat completamente fuori tempo fra loro. Non si sa se sia voluto, ma fa riflettere anche su quelle che erano le tecnologie a disposizione all’epoca dei primi sequencer, campionatori, drum-machine e sintetizzatori. Oggi le possibilità sono pressochè infinite e il suono è modellabile fino alle più eleganti vette del sound design, mentre a quel tempo ci si poteva permettere macchine come la già citata Tr-808, o la Tb-303 per le linee di basso, diffusissime perchè al tempo economiche ed essenziali (e che oggi, per via della sacralità conferita loro, sono cimeli dal valore esagerato).

Drecxiya – “Aqua Worm Hole”

Nei Drexciya di Gerald Donald e James Stinson sono sì evidenti le influenze jazz, un po’ alla Sun Ra Orchestra, ma soprattutto il funk: è sufficiente soffermarsi sulla linea di basso e coglierne il groove, o sull’ostinato arpeggio di synth per carpire il collegamento con il tipico suono “wah” delle chitarre funky.

Aux 88 – “Direct Drive”

Di nuovo Aux 88, Tucker in prima persona, con “direct drive”. Si noti il movimento che viene dai bassi profondi, a cavallo della soglia dell’udibile.

Sole Tech – “Jit the Anthem”

La voce che fa “jit” è talmente ossessiva da entrarti in testa senza permetterti più di liberartene, per cui attenzione ad ascoltare questo brano dall’inizio alla fine. E forse proprio per questo è diventato una specie di inno. Con un minimo di ricerca, ho appreso che “jit” è il termine slang che designa la classe operaia di colore che negli anni ’90 abitava l’inner-city di Detroit, da cui la classe media che fruiva della scena techno iniziava a prendere le distanze. Nei flyer delle feste di quel periodo si facevano strada rimandi all’estetica e al lusso europeo, feste che iniziavano a prevedere una selezione all’ingresso basata su come ci si presentava.

Aux 88 – “Space Satellites”

Questo bellissimo brano, decisamente più curato ed elegante dei precedenti, parla da sè. La voce articolata con il vocoder si sposa perfettamente con le nuance futuristiche degli archi che accompagnano il viaggio dell’ascoltatore al di fuori del pianeta Terra. Tornano le tematiche legate allo spazio e alla tecnologia, ma attraverso sonorità palesemente più ricche ed evolute rispetto agli albori (e all’inizio di questa carrellata).

Sound of Mind – “Programming”

Questa traccia è nota anche e soprattutto per il fatto che un certo Jeff Mills, che forse ancora non sapeva di diventare leggenda, al tempo già noto come “the Wizard”, era solito passarla per radio a Detroit, molto spesso.

DJ Assault – “Shake it Baby”

Qui la prepotenza della linea di basso e un tagliente vocoder la fanno da padroni e creano una stupenda commistione agrodolce insieme agli archi con cui si alternano. DJ Assault è indiscutibilmente una forte influenza per il sottogenere GhettoTech, che si riconcilia con i suoni di Chicago.

Paolo Castelluccio

(Via ElectronicBeats)