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L’ultima opera messa in cantiere dal celebre regista Spike Lee si chiama Chi-Raq, uscirà il 4 Dicembre nelle sale statunitensi e parla di Chicago e delle sue infinite difficoltà, ma, diversamente da ciò che era previsto, il curatore delle musiche non sarà Thomas Kendricks, alias DJ Slugo.

Già, perché Slugo, nativo appunto della città del vento, si è reso protagonista di un episodio alquanto spiacevole: incaricato da Lee in persona di trovare artisti locali che componessero le musiche per la colonna sonora, ha pensato bene di chiedere a questi centinaia di dollari perché la loro produzione comparisse nel film.

Alcune delle mail in cui il DJ avanzava queste assurde richieste sono state rese pubbliche e ciò che sdrammatizza il tutto è che Kendricks non seguiva alcun filo logico nell’esporre il suo “tariffario”.

Nella prima mail, per esempio, viene data la possibilità all’interessata, tale Christine Infanger, di scegliere tra due offerte: una prevede il pagamento di 300 dollari a singola canzone per poi ottenere il 10% sui futuri incassi della stessa, mentre l’altra chiede di pagare un prezzo maggiore, 500 dollari, senza alcun guadagno successivo.

Probabilmente nessuno deve aver accettato queste condizioni insensate, infatti, nella seconda mail, Slugo dichiara di volerle venire incontro così da ottenere materiale per la pellicola e le offre di pagare 100 dollari per poi avere il 90% di royalties oppure di pagarne 150 in più e potersi tenere tutti i ricavi futuri eventuali.

Insomma, un vero e proprio pay-per-play; non paghi, non suoni.

Ovviamente Spike, venuto a conoscenza dell’accaduto, ha immediatamente licenziato il ricattatore, che ha dichiarato: Credo di aver perso il mio ruolo di supervisore musicale per aver cercato di far pagare gli artisti di Chicago affinché potessero inviarmi canzoni per la colonna sonora. Mi assumo ogni responsabilità per le mie stupide decisioni e farò tutto ciò che è in mio potere per sistemare le cose con Mr. Lee. Spero che nessuno degli artisti che mi hanno contattato sarà danneggiato dal mio comportamento irresponsabile e cercherò di far arrivare tutto il materiale che mi è stato inviato al team di Mr. Lee. Accetterò qualsiasi punizione Mr. Lee abbia in mente. Vi prego di perdonarmi”.

La vicenda ha causato diverse considerazioni per certi versi contrastanti: mentre alcuni pensano che sia un non-problema, dato che l’interessato si è scusato e nessuno è stato danneggiato, molti sono convinti che Slugo sia uno dei tanti e che siamo di fronte ad una piaga del panorama musicale odierno.

In effetti, è risaputo che il pay-per-play non è nulla di nuovo per gli artisti (specialmente DJ) emergenti, i quali, oltre a spendere un patrimonio per attrezzatura, dischi, management e spese varie, sanno che devono far spesso fronte anche a quest’assurda pretesa.

È quindi chiaro che Slugo, sincero o meno nelle sue scuse, è solo uno dei tanti, una sorta di capro espiatorio giustamente rimosso dall’incarico e sostituito con Terrence Blanchard, jazzista e compositore fidato di Spike Lee ed evidentemente più professionale.

Una cosa certa è che questo fenomeno, che si prospetta come un potenziale tumore per la scena musicale, non potrà mai essere estirpato se chi lo subisce è il primo a non denunciare e tacere.

Alberto Zannato