C2C è il festival avant pop per eccellenza e, anche quest’anno è stato un viaggio che ci ha portati lontano, fino alle stelle. Ecco come lo abbiamo vissuto.
Da più di vent’anni C2C ripete, stagione dopo stagione, lo stesso rito fondativo: trasformare una città, un pubblico (misto per provenienza, generazione, attitudine) in un corpo unico. Oggi più di ieri, C2C sopravvive come infrastruttura culturale mutante, transdisciplinare, a prova di crisi dei generi, logiche social o algoritmi di intrattenimento.
Durante la XXIII edizione (30 ottobre – 2 novembre 2025), il festival ha registrato il sold out per il quarto anno consecutivo, raccogliendo 42.000 presenze, di cui il 40% internazionali. Numeri impressionanti, moltissimi giovani under 30: espressione di una comunità reale, in crescita. Sold out per il quarto anno consecutivo, con uno spessore emotivo inedito: questa è la prima edizione senza Sergio Ricciardone, fondatore e anima del festival.

Ciò che oggi chiamiamo “C2C Festival” è nato come Club To Club in un’epoca in cui l’idea stessa di “festival” di musica elettronica in Italia era al limite dell’incredibile. C2C oggi non può comunque essere definito un festival incasellabile in un solo genere. È uno dei rari esempi italiani (ed europei) “avant-pop” di curatela sonora pronta a farsi architettura: luogo in cui la musica si ascolta e “accade”, generando un ritmo condiviso, una grammatica comune, che prende forma con i corpi.
C2C ci guida attraverso le OGR, i padiglioni del Lingotto, i format diurni come le C2C Talks al Teatro Regio, mantenendo la cura di un festival indipendente e l’impatto di una visione internazionale complessa. Quest’anno abbiamo anche assistito al visionario Showcase della Young al Le Roi, senza dimenticare il C2C Kids! alle Fonderie Limone, dedicato alle nuove generazioni.
In questo senso, il tema dell’edizione 2025 “Per Aspera ad Astra” è un omaggio a Sergio Ricciardone, oltre che un gesto curatoriale. La presa in carico esplicita della difficoltà e della risalita, della continuità e del salto in avanti. Andare fino alle stelle, ma non in linea retta: attraversando intricate orbite di estetiche, identità e linguaggi. L’immagine dell’aereo con la scritta “C2C Festival”, la dedica a Sergio sui maxischermi, che ha accompagnato ogni apertura di set, è stata perennemente accolta da applausi potentemente veri.

Giovedì
Che il festival abbia inizio. Ed è alle OGR che il viaggio inizia, con Paolo Della Piana. E non poteva che essere un inizio cauto, sperimentale e profondamente spirituale. Per arrivare fino alle stelle, serve una partenza ben pensata.
A seguire Daniel Blumberg. L’artista poli-strumentale, inizia una vera e propria sperimentazione sul palco, piuttosto complessa e, a tratti, di un’emotività piuttosto matura. Forse non tutti possono davvero coglierne il significato, ma sicuramente non è ciò che vuole l’artista; anzi, il suo punto è proprio quello di esprimere se stesso e il suo complesso universo, senza la pretesa di essere compreso.
Giunge il turno di Yhwh Nailgun, una band davvero non-convenzionale. Il loro live di rock sperimentale è caratterizzato da un’energia che fa vibrare tutto. Il cantante, in particolare, ha uno stile tutto suo, come a volerci comunicare di essere fuori dagli schemi, ma senza il vero intento di farlo. Una voce esplosiva, con una voglia pazzesca di urlare, ci arriva insieme a un sound ricco di potenza.
Poi raggiunge il palco Jenny Hval. La compositrice e cantante della Norvegia, fa tornare un’atmosfera riflessiva, ma non solo. Le connotazioni dei suoi brani hanno un retrogusto pop, ma con un passo di distacco rispetto al panorama contemporaneo, con una sperimentazione e una prospettiva di avanguardia in più.
E, infine, è il turno di Kelman Duran. Il dj genera la prima vera esplosione del festival: un set ritmato, energico e rivitalizzante. I ritmi apparentemente reggaeton vengono mixati a sample di elettronica pura e melodie più ricercate. Ciò che ci colpisce del dj è sicuramente la sperimentazione, la ricerca di paesaggi variegati e di mix di stili (e generi), in un modo tutto suo.
Venerdì
È Emanuele Wiltsch Barberio ad accompagnarci all’ingresso del Lingotto. Un live morbido. Il suono si apre, resta sospeso, e ci offre il primo respiro della serata. Arriva poi il duo Titanic (Mabe Fratti + I. La Católica) e con loro un’intimità più tesa: il violoncello, gli inserti elettronici sono essenziali, la voce resta sempre in primo piano.
Uno degli incontri piu belli del venerdi è stato quello di Ali Sethi e Nicolas Jaar. La voce di Sethi, radicata nella tradizione del ghazal indo-pakistano, viene sostenuta da un’elettronica ridotta all’essenziale da Jaar: silenzi accesi, bassi profondi, un tempo allungato che ci mette tutti sullo stesso piano d’ascolto.
Nel mentre, allo Stone Island Stage si accendono le percussioni. Tresca y Tigre & Lechuga Zafiro giocano con matrici chaude electro, con linee di candombe che sanno di sud e si piegano alla club culture contemporanea. La risposta è immediata. Poi cambiamo asse: Isabella Lovestory sembra arrivare da una pista urbana di reggaeton spogliato di cliché, mentre Mechatok prende tutto questo e lo rallenta fino a disintegrarlo in pop elettronico.
Entriamo poi nel clou di uno dei momenti più attesi: il debutto nazionale del duo Iosonouncane & Daniela Pes al Main Stage. Le due voci non si sovrappongono. Il loro set ha qualcosa di severo e insieme fragile: è elettronica che accompagna, senza schiacciare.

Dopo l’indie-soul di di Saya Gray, ci troviamo pronti a vivere il live di Blood Orange. Devonté Hynes possiede un’architettura del suono rispettosa e delicata, la sua band è minima: una chitarra pulita che lega tutto, un drumming morbido, vibrazioni soul, un’orchestrazione che lascia respirare la voce. Quando rilegge “How Soon Is Now?” degli Smiths, ci ricorda che la malinconia sa trovare nuove forme, anche nel tempo presente. Una lezione di rispetto e delicatezza, accompagnata da classici e da brani del suo ultimo splendido disco “Essex Honey”: che meraviglia.
Nel frattempo, allo Stone Island, prende forma la linea club del venerdì. Barker (DJ Resident del Berghain) costruisce un set denso: techno senza cassa, trance filtrata. Skee Mask va di breakbeat liquidi, Djrum lavora su linee di basso frammentate, con pattern irregolari e inserti vocali campionati. Vinile, stratificazione, ritmo che cresce. Jungle e ambient a incastro: uno dei DJ set più completi del festival.

Il Main torna a vibrare con DJ Python che suona frequenze medio-basse costanti e precise, ottimo controllo sul flusso.
Il primo secret show di quest’anno è stato quello di Bill Kouligas (PAN), che allo Stone Island si presenta con un set ruvido, fatto di rumori strutturati, pieni di carattere.
Tra palco e palco attraversiamo la Plenitude Room, dove si trova l’installazione “Cuor Leggero” di Codalunga (Nico Vascellari): una stanza illuminata da sfere traslucide, barre LED.
Sabato
Sabato si apre con i C2C Talks al Teatro Regio. Ascoltiamo Andrea Laszlo De Simone raccontare la scelta della lentezza come campo fertile creativo, si parla di suono, identità, cura dei processi.
Rientrati al Lingotto, si riparte con Acid Eyes: elettronica autoriale, voce filtrata, seguito dalla grazia mistica di Annahstasia, che porta la sua chitarra e una vocalità solida, emozionante.
Il primo scossone forte lo sentiamo con i Model/Actriz: una band che esiste nell’attrito tra noise, pop, performance fisica e sottocultura queer. Cole Haden è totalmente presente, batteria intensa e chitarra che incide. Con loro non c’è bisogno di orpelli.
Sul Main, la curva si ammorbidisce con Ecco2k (Drain Gang), voce cristallina, autotune come strumento emotivo. È subito seguito da Nourished by Time, altra declinazione della fragilità: basso caldo, voce accesa, R&B ipnotico.
E così, quando arriva A.G. Cook, pionere della PC Music, siamo pronti ad un’altra curva. La cassa cresce, i visual esplodono, i BPM si alzano ma senza degradare il messaggio musicale. È un set che richiama euforia e lucidità allo stesso tempo: siamo dentro.
Allo Stone, il contrappunto è radicale. John Maus costruisce uno scavo tra voce grave e synth nevrotici. Blawan magistrale nel suo suono modulare, compattissimo. porta ritmo techno muscolare, senza prepotenza ma con piena padronanza del groove: una delle prestazioni più vive e intense del festival.
Chiude lo Stone Kode9, secondo punto interrogativo della line-up. Presenza cara al C2C, Kode9 mantiene la tensione bass-driven, lavorando su una ritmica spezzata: una certezza.
Intanto, il Main ritrova una continuità nei due set finali: Floating Points e Four Tet. Floating Points parte da una scrittura che guarda alla club music più lisergica: lunghi strati melodici, bass drum che non forza mai. Four Tet procede senza abbassare i BPM, con un set che attraversa influenze globali. Con kick senza eccessi, guida il pubblico fino alla chiusura e lo fa con classe. Un finale completo, in mano a due gradassi.

Domenica
L’ultimo giorno di C2C inizia con Sister Effect. Ciò che ci mostra, è la sua assidua e continua ricerca musicale, mai sempre uguale, in cui la sperimentazione è la parola d’ordine. Sonorità diverse si mischiano, si intersecano e creano melodie del tutto innovative.
A seguire Maria Somerville. La cantante del dream-pop ci accoglie con un’atmosfera onirica e ci catapulta in un paesaggio mistico, piuttosto nebuloso e malinconico. La sua capacità di farci toccare con mano il suo mondo, di percepire tutte le sue storie e i suoi panorami astratti è senza pari.

Giunge poi il turno di Billy Woods. Il rapper statunitense mette in scena tutta la complessità dei suoi brani, intrisi di liricità ed emotività. Nei suoi live, non manca mai quella dose di rabbia, che ci fanno sentire le sue parole dritte al petto, come dei proiettili. Un continuo susseguirsi di discorsi complessi, che si animano su basi surreali e dallo spirito underground. Per un’ora, ci siamo sentiti a New York, e ne abbiamo percepito tutta la complessità.
A seguire Smerz. Il duo norvegese si annuncia tra sipari argentati e note allegre. Il ritmo ci trascina e si intensifica con l’esibizione, ma mantenendosi piuttosto minimale. Il suono è composto da drum machine, tastiere e sintetizzatori e viene accompagnato dalle loro voci che, piuttosto che cantare, parlano. Una sinuosità ed equilibrio tra le voci e il suono non da tutti.
E l’ultimo artista, non annunciato per policy dell’ evento, è Nicolas Jaar. Ci coglie di sorpresa, ma senza dubbio in positivo, come se, in un certo senso, aspettassimo solo lui. La sua partenza è cauta, lineare, fino a generare un crescendo di melodie e sperimentazioni. E, per concludere l’esibizione, e tutto il festival, le parole di Battiato ci risuonano nella testa, con un’infinita malinconia.
Il nostro C2C
Come ogni anno, il festival ci ha regalato quattro giorni intensi, visionari e ha colpito nel segno in ogni sua esibizione. Ogni artista presente in line-up era, in qualche modo, una parte dello spirito di C2C, pur mantenendo la propria autenticità e il proprio stile. Anche quest’anno, il cartellone non ha seguito tendenze e la risposta è stata quella di un sold out (di nuovo), il che dice tutto. Tra visual pazzeschi, sound impeccabile e potenza inaudita, ognuno ha trovato il proprio spazio. Un incontaminato spazio musicale, e non solo.
Anche stavolta, C2C 2025 si è mosso con una visione che resta solida nel tempo. Con il motto “Per Aspera ad Astra”, il festival ha onorato il passaggio più delicato della sua storia, la prima edizione senza Sergio Ricciardone, scegliendo di farlo con continuità. Una scelta semplice, vera.
Ricciardone costruiva un ambiente di libertà. A Torino, tra voci nuove e ritorni attesi, quell’ambiente ha preso forma ancora una volta. E chi c’era lo sa: C2C continua ad esistere perché continua a parlare. Verso il futuro, con ascolto presente.
“Per Aspera ad Astra” è il saluto più giusto a chi questo festival lo ha pensato e fatto crescere, Sergio Ricciardone.
Grazie, Sergio, per aver creduto in un festival che rispetta chi ascolta. Una strada costruita da chi credeva nella musica come incontro reale. E grazie a C2C per averlo custodito, ancora una volta, senza inganni. Ci torneremo, come sempre, con la stessa ostinazione: cercare le stelle, insieme.

Alessandra Bianchini & Giulia Fiorentino
