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Ho sempre pensato che nel momento in cui si inizi a chiamare per nome qualcosa, questa abbia già perso di valore, di autenticità e di unicità. E così ogni giorno la parola “clubber” fa il giro su ogni social network, su ogni blog, su ogni bocca. Tatuati, maglia oversize lunga fino ai piedi, magari una barba perfetta e neronero ovunque ed il clubber è fatto.

Lo vedi agitarsi all’interno del locale: cerca figa, cerca roba, cerca pass, elemosina drink disturbando chi in quel club è andato a consumare il suo pezzo di dancefloor cogliendo ogni suono, ogni traccia e tutto ciò che il dj vuole far sapere di sè in quel set.

Fino a qui tutto male, ma non malissimo. Il problema sono le puntuali ed ignoranti “pagelle” del giorno dopo che narrano di performance deludenti, di djs troppo fatti e di critiche infondate ad organizzazioni che, se pur non perfette, ti regalano esperienze, ma a te non rimane altro che qualche “like” di pulci con la tosse.

L’emozione è soggettiva e la musica colpisce ognuno di noi in maniera differente. Ci riempie, ci alleggerisce, ma mai lascerà un vuoto.

Allora se volete essere clubber, rispettate il club, fidatevi di ciò che propone, pagate un biglietto per ascoltare un Dj sconosciuto e siate pronti ad accettare gli esperimenti che i “big” propongono in questa realtà. A voi il diritto di rimettere piede in quel posto o sparire. Una critica silenziosa in un mondo di casse, snare e rides.

Chicca Russo