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Dal 2007 il terzo sabato dell’Aprile di ogni anno si festeggia un evento a carattere mondiale: il Record Store Day.
Esso nasce da un’idea di Chris Brown, commesso di un negozio di dischi che ha la visione geniale di inventarsi una ricorrenza annuale, il tutto per celebrare i negozi di dischi indipendenti e, di conseguenza, la musica fatta con mezzi meno costosi, ma che non per questo perde pregio.

Ora il Record Store Day è riconosciuto in tutto il mondo: molti artisti pubblicano release limitate ed edizioni speciali dei loro lavori appositamente per questa data, i negozi propongono offerte ed occasioni e tutto sembra volto a qualcosa di positivo e sano, soprattutto per la musica indipendente.

Questo è ciò che si può reperire su Wikipedia o su qualche pagina sponsorizzata.

Purtroppo basta poco per notare le tantissime incongruenze. La prima è che in Italia l’evento è praticamente sconosciuto: alcune emittenti radiofoniche lo sfruttano come vessillo fashion e per promuovere una programmazione ad-hoc, ma di edizioni speciali e di file nei negozi non se ne sente parlare.

Altra notevole pecca è l’assenza quasi totale della musica elettronica e, più nel dettaglio, della dance music nella totalità dei suoi sottogeneri: produttori ed etichette non sono incentivate in alcun modo da questo evento, di cui sono ben altri a beneficiare.

Dando un’occhiata alle classifiche di vendita durante questa ricorrenza si nota infatti che ai primi posti si trovano edizioni in vinile di LP e singoli di artisti mainstream (che non hanno sicuramente bisogno di una ricorrenza per vendere più copie dei loro dischi), e solo in coda si può trovare qualche disco indie rock, hip hop e metal.

Andando più a fondo si trovano incongruenze riguardanti le distribuzioni, le malcelate tendenze al guadagno più che alla valorizzazione della musica indipendente e, perché no, anche qualche papera, come quella degli U2 che hanno pubblicato un edizione speciale in vinile del loro ultimo LP (Songs Of Innocence, famoso ai più per aver occupato la memoria di milioni di smartphone indebitamente) in cui però era presente un EP della band Tool.

Un’occasione mancata? Ai più intransigenti potrà, a buon ragione, sembrare così.

Certamente non si può trascendere dagli effetti positivi che ha questo evento sulle vendite di CD e dischi in vinile, mercato insofferente a causa della digitalizzazione della musica. Ma siamo pronti ad accettare un futuro in cui per ascoltare brani ci servirà soltanto un laptop oppure sentiamo bisogno di dischi, tangibilità e iniziative, sebbene lacunose, come questa?

Mirno Cocozza