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In una realtà complicata come quella di Pescara, si fa strada Club Zero11, un punto di riferimento per gli amanti dell’arte e della cultura.

I dati parlano molto chiaro: secondo alcune recenti indagini condotte dalla SILP (Associazione Italiana Imprese di Intrattenimento, di Ballo e di Spettacolo) e dalla FILP (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), la così comunemente definita “Industria della Notte” è un motore di introiti che giova direttamente sul Prodotto Interno Lordo del Bel Paese.

L’asse “Turismo-Divertimento” è binomio tangibile nonché uno dei trainanti più convincenti di tutto il settore terziario – tra le varie offerte che in esso operano.

Nel 2017 ad esempio, solo tra discoteche e club si è generato un volume di affari pari a 1.1 miliardi di euro, all’incirca il 20% dell’intero fatturato generato dall’economia mondana.

Il numero non stupisce considerando che già dal 2016 l’intera struttura degli esercizi notturni ha registrato un valore di bilancio attestato sui €5.3 Miliardi: si è calcolato che per l’82,4% degli italiani in vacanza, la preferenza di quella località piuttosto che di quell’altra è pesantemente influenzata dalla proposta notturna del luogo, un fattore condizionante che viene percepito immediatamente dopo l’ospitalità e il ventaglio culinario.

Queste considerazioni di natura prettamente economica sono al netto del discorso che si potrebbe fare (e delle ulteriori riflessioni che emergerebbero) circa il volume di investimenti e il potere occupazionale di cui questa Industria si fa garante, due pesi che – chiunque ci capisca anche solo un attimo di Economia – saprà interpretarvi come variabili critiche della funzione di produttività (quindi il benessere) di una Nazione.

Nonostante ciò, al di là di queste brillanti prospettive, il discorso prende una piega contorta dal momento in cui si tengono a mente altre dimensioni della discussione: se esiste l’esigenza di palesare pubblicamente queste statistiche è perché, prima di tutto, viene percepito il bisogno che qualcuno dall’altra parte ne prenda sicura consapevolezza.

Più del 54% degli imprenditori intervistati avverte che, chi di competenza in ambito municipale, o ha scarsa percezione di queste dinamiche implicite oppure, per il 23%, non dimostra alcun reale interesse.

I motivi per cui questo accadrebbe sono molteplici: il generale stigma che la cultura della notte si porta sulla spalle (sfortunatamente alimentato da più o meno tragici eventi di cronaca) e che sicuramente non giova alla sua immagine disinteressando il dialogo circa le opportunità di cui questa è cassaforte; le tipiche infinite giungle della burocrazia italiana; il “conservazionismo” di alcune amministrazioni locali e la difficoltà a sostenere un ecosistema urbano capace di coniugare la convivenza tra cittadini ed attività sono forse le cause di maggiore interesse.

Ci sono poi anche gli altri aspetti, quelli che ad esempio richiamano direttamente i fenomeni concorrenziali interni al settore, non sempre adeguati rispetto i manifesti della concorrenza leale e responsabile.

Più in generale, come ha riassunto brillantemente il collega di redazione:

“[…] Stiamo parlando anche e soprattutto delle “colpe” interne alla scena, vale a dire, solo per fare alcuni esempi, dell’immobilismo artistico che contraddistingue le programmazioni dei cari e vecchi (più vecchi, ormai) grandi club, dell’attenzione dei promoter che si scosta sempre di più da ciò che in un evento veramente conta e anche della sempre minore volontà da parte di chi ai locali va a ballare di informarsi, variare, dare possibilità a nuove realtà.”

Eppure, in tutto questo infinito magma incandescente, per fortuna esiste ancora qualcuno che ha desiderio, volontà e motivazione di emergere nel rispetto sia della società che dell’industria stessa.

La vita della notte partecipata attraverso il rito del clubbing non esige solo capitali: la cultura del club, l’intenzione di esprimersi in una programmazione artistica creativa, la criticità di pensiero che ne è a presupposto e soprattutto la buona dose di coraggio richiesta, sono tutti quei fattori attraverso cui si declina l’offerta dei migliori locali d’Italia e delle più influenti realtà europee.

Dall’inverno 2017, proprio nel centro di Pescara e a pochi passi dal museo d’annunziano, giovanissimi imprenditori hanno abbracciato l’ardua sfida di perseguire questi modelli di eccellenza proponendo un loro personalissimo laboratorio di estetiche, culture ed arti.

Seppur la realtà Club Zero11 sia relativamente recente, le menti dietro il progetto sono operative sul territorio sin dal 2013 sotto le vesti del collettivo RE.FACE  – un’identità che Club Zero11 non ha annientato, ma anzi, l’ha portata a nuova evoluzione premiandola di un’immagine decisamente più formale e ramificata.

Già a partire da quell’anno si è avviato un lungo, faticoso e complesso sforzo di integrazione con il glorioso lasciato promosso in questa città.

Sì, Pescara e la costa abruzzese sono state per molti anni dei punti fermi nel radar del clubbing italiano sia a livello di open-air che a dimensione di club; una focalità che tuttavia, per un motivo o per l’altro, si è andata a dissipare nel tempo vedendosi sostituire da un solo alone di malinconia.

Ebbene, Club Zero11 vuole sventare questa triste percezione cogliendo l’onorabile responsabilità di farsi nuovo promotore dei capitoli di un libro bruscamente interrotto.

Ovviamente noi ci siamo stati e l’impatto è stato incredibilmente dolce: le architetture sono delle più minimalisticamente affascinanti e richiamano quell’estetica essenziale che mai tradisce l’occhio; il soundsystem è studiato in funzione degli spazi e con essi “collabora” per garantire la migliore acustica possibile; punti luce delicati e mai invadenti che operano da guida nell’esplorazione della struttura; geometrie e strutture confortevoli a garanzia di qualunque esperienza si voglia intrattenere.

Poi è normale, il nocciolo come è giusto che sia ricade sempre tra direzione artistica e promozione musicale.

Con un’attenzione ineccepibile riposta nella cura di ogni evento settimanale, nell’arco di due stagioni hanno già varcato la porta Enrico Mantini, Lorenzo Chiabotti, DeWalta, Cap, Mihai Pol, Cristi Cons, Adiel, Dana Ruh, Julian Perez, Ivan Iacobucci, Viceversa, Alex Kid, Giuliano Lomonte, Fernando Costantini, Domenico Rosa, Saverio Celestri, Fabrizio Maurizi, Gianmarco Orsini; una selezione che ha inconfondibilmente definito la corrente offerta segnando Club Zero11 nella mappa delle destinazioni per i cultori della deep e micro-house.

La programmazione, nel complesso, richiama l’intenzione di alternare artisti ampiamente consolidate nel panorama underground a nomi decisamente più ambiziosi e fuori dalla logica di comode scelte main-stream; questo fa da testimonianza diretta ad una reale volontà di indottrinamento che sia partecipata rispetto il calore e l’apprezzamento dimostrato dal pubblico set dopo set.

Tutto questo e molto altro ancora è stato approfondito direttamente con Francesco Follieri e Antonio Guerrieri, due dei quattro cofounders a direzione dello spettacolo nonché, nel caso del secondo, abile regista dei warm-up e sapiente conoscitore dei gusti della dancefloor non solo pescarese.

L’intervista:

Ripartiamo un attimo dalle origini. Nel giro di pochissimi anni siete passati dallo status di “clienti”, poi promoter dei vostri primi progetti indipendenti fino a raggiungere la più totale autonomia imprenditoriale. Ad oggi, quale sensazione vi provoca ripercorrere mentalmente le tappe della vostra lenta ma costante progressione?

Ciao, innanzitutto ti ringraziamo a nome di tutto lo staff per le belle parole spese a nostro riguardo. Entrambi potremmo affermare di essere sin da piccoli cresciuti all’interno della music industry, Antonio come dj, Francesco come pr. Diciamo quindi che lo status di clienti lo abbiamo abbandonato sin da subito, salvo poi, una volta trasferiti a Pescara, riprenderlo, seppur con piacere, durante le nostre prime frequentazioni nei club più in voga di quel periodo, come Zubar o Tipografia, capisaldi dell’avanguardia elettronica della costa abruzzese. Molte delle nostre attuali influenze ed ispirazioni derivano dai party in cui abbiamo partecipato in quegli anni. Da questo momento in poi, considerate le nostre capacità, abbiamo tirato su un collettivo quanto più eterogeneo ed in grado di lavorare autonomamente. Da allora è stato un continuo susseguirsi di risultati positivi e relative soddisfazioni che ci hanno spinto sempre più a credere nei nostri mezzi ed intraprendere questo tipo di carriera. Ma come ti ho specificato, è stata una crescita continua quanto esponenziale, e senza renderci conto, nel giro di pochi anni siamo arrivati ad aprire il nostro club, realizzando praticamente uno dei sogni che abbiamo sempre avuto nel cassetto.

Club 011

Siamo a cavallo tra il 2012 e il 2013, Pescara è nel pieno del suo potenziale e, al di là della sola frequentazione estiva, riesce ad imporsi come una meta di grande afflusso. Da lì a breve però, questa posizione tra le destinazioni del centro-sud va via-via indebolendosi con la conseguente uscita dalla famosa mappa di cui detto in apertura. Dai vari punti di vista che avete avuto, quali ne sono state secondo voi le cause? È un discorso di sole opportunità mancate?

Quando siamo arrivati a Pescara, a cavallo tra il 2010 ed il 2012, Pescara come ben dicevi era nel pieno di una ascesa dal punto di vista artistico e culturale che sembrava non avere eguali nel territorio. Tuttavia, una serie di circostanze, tra le quali le chiusure di alcuni dei club di riferimento, le restrizioni imposte ai promotori degli eventi, hanno alimentato un diffuso quanto repentino senso di disinteresse verso il panorama musicale underground. Da questo momento in poi, gli artisti a cui questa città iniziava ad abituarsi settimanalmente, si sono visti sempre più di rado. In questo contesto, pochi sono stati i tentativi, a livello imprenditoriale, di ritirare su la scena, con sporadici casi rimasti pressoché isolati.

È lecito dire che avete preso la decisione più coraggiosa nel momento più incognito: da un lato l’opportunità costituita da un’intera fascia generazionale e demografica privata dei suoi luoghi di rito; ma dall’altro perduravano numerosi fattori di incertezza, uno su tutti le severissime politiche esercitate dall’amministrazione locale. Cosa vi ha comunque motivato ad assumervi questa profonda responsabilità e quali passi avete dovuto compiere per riprendere da dove tutto era lasciato in sospeso?

Non ti nego che la situazione attuale di costante demonizzazione del fenomeno “clubbing” risulta pesantemente “dopata” prima di tutto da parte della stampa, spesso retrograda e bigotta, e questo influisce sull’opinione pubblica influenzando il pensiero politico delle autorità e delle amministrazioni locali. La differenza tangibile di attitudine la possiamo facilmente evincere e riscontrare in tanti paesi esteri, anche europei, primo tra tutti la vicina Germania, dove c’è la consapevolezza che questo tipo di eventi generano ed alimentano il turismo sviluppando trasversalmente nuovi e maggiori introiti nell’economia di altri settori quali trasporti pubblici, ristorazione, hotel. È dunque ovvio che si venga a creare un certo senso di sfiducia e di conseguente preoccupazione nell’investire oggi tempo e denaro in un’attività notturna nel nostro paese. Ecco spiegata la moria generalizzata di tutto il movimento. Tuttavia, dal canto nostro, abbiamo sempre creduto e cercato, sin dal primo giorno in cui abbiamo iniziato questa nuova esperienza, un rapporto quanto più chiaro e collaborativo con le autorità e le forze dell’ordine. Crediamo difatti che confrontarsi e farsi conoscere è il primo grande passo per sfatare i tanti miti che aleggiano sul mondo della notte.

Riflettendoci, Pescara occupa il centro di un triangolo geografico “infuocato”. Nel giro di pochissime ore di mezzi, sono alla portata del pubblico locale: le discoteche della riviera romagnola a Nord, le attrazioni all’aperto della Puglia a Sud e i santuari del clubbing capitolino a Ovest. Circondati da questi giganti dell’intrattenimento, se sono mai esistite, quali grandi difficoltà avete o state ancora incontrando nel tentativo di ritagliarvi un vostro personale riflettore?

Sicuramente, al giorno d’oggi, in zona non abbiamo le strutture per competere con questi giganti che hai elencato. Trovare location attrezzate per ospitare eventi in sicurezza e conformità delle regole, oggi, è davvero dura. Tuttavia, estraendo dal discorso, megastrutture e grandi discoteche, con una programmazione artistica sapiente, piccoli investimenti mirati e tanti sacrifici, è possibile ottenere dei risultati positivi. Lavorando con costanza e attitudine positiva i risultati arrivano sempre. E la ricompensa è il momento in cui la gente riconosce i tuoi sforzi, apprezzando le scelte artistiche o i piccoli cambiamenti, le migliorie che proviamo ad apportare di mese in mese nella nostra struttura. E questo, per noi, è motivo di grande orgoglio.

Una volta sul mercato, immagino abbiate avuto una percezione molto più nitida dei fenomeni che orbitano attorno questa complessa attività. Passando dal gradino di “soli” promoters a quello di proprietà e direzione artistica congiunta, quali aspetti del clubbing non vi aspettavate? Oltre gli ovvi oneri imprenditoriali, con quali nuove complesse dinamiche vi siete dovuti confrontare?

Sicuramente passare da essere promotori di un party ad essere titolari di un’attività commerciale, alla nostra età è stata una presa di responsabilità non da poco. Sicuramente il ruolo svolto dai nostri soci Diego e Paolo, già proprietari del Roof Club, con una pluriennale esperienza in questo settore è stato determinante. Ci hanno fatto praticamente da chioccia nel nostro approccio al mondo dell’imprenditoria. È ovvio che in noi è cambiata l’intera percezione del party. La concezione di un evento ben definito nello spazio e nel tempo è iniziata a venir meno, lasciando spazio alla consapevolezza che il nostro lavoro va vissuto nel quotidiano con una costante attenzione verso tutti gli aspetti che circondano il club: dai fornitori alle scelte artistiche, dalla promozione alla gestione del personale. In breve, tante dinamiche nuove che si vanno ad aggiungere al nostro bagaglio di esperienza.

Esulando il contesto locale, dato che ci siete dentro da un po’ di anni, che idea vi siete fatti dello stato di salute del clubbing italiano? Quali sono quei fenomeni diffusi più malsani e compromettenti che nuocciono gravemente al sistema?

Come dicevi in apertura di questo articolo, oggi, una buona parte dei turisti sceglie la sua meta in considerazione dei party presenti sul territorio. Ecco, chi vuole scegliere una meta turistica per partecipare a qualche party/festival, difficilmente sceglierà l’Italia. Una normale festa durante il weekend, per esperienza, dura circa 5 ore, un festival dalle 6 alle 12 ore. Fuori dal nostro paese abbiamo la possibilità di partecipare a manifestazioni che superano abbondantemente queste tempistiche, della serie che spesso si conosce l’orario di inizio ma non quello della fine. Questo è un problema determinato dalla burocrazia e dalle amministrazioni ed è a nostro avviso il nocciolo alla base della questione. A questo aggiungiamo la negligenza del pubblico italiano, sempre più abituato a presentarsi ai botteghini non prima delle 3:00 del mattino, quando ormai la festa dovrebbe volgere al termine. Queste problematiche rendono sicuramente dura la vita agli organizzatori, riducendo di molto il business attorno agli eventi. Inoltre, la legislatura italiana, per questione di privacy, non permette dei controlli approfonditi in fase di selezione all’ingresso. Non è possibile utilizzare strumenti quali metal detector, scanner facciali e/o di impronte digitali, registrazione dei documenti dei partecipanti, precauzioni che avvengono regolarmente all’estero, minando la sicurezza e rendendo sempre più difficile un controllo costante e dettagliato di ciò che accade nei nostri club.

Essendo voi assidui frequentatori anche delle migliori scene estere, la domanda conseguente viene spontanea: cosa è capace di fare il clubbing italiano meglio di quanto venga fatto all’estero e in cosa invece dovrebbe attentamente prendere appunti?

Storicamente, dal punto di vista musicale, artistico e creativo in Italia non siamo mai stati secondi a nessuno. Oggi come ieri, i produttori italiani restano tra i più apprezzati al mondo. Tuttavia, c’è, almeno negli ultimi decenni, una certa tendenza, probabilmente dettata dall’invidia e dalla permalosità, a voler ragionare solo badando ai propri interessi. In Italia, tra dj e promoters, sono relativamente poche le forme di collaborazione, in molti tendono ad isolarsi, forti della propria esperienza, invece di fare gruppo. Prendiamo ad esempio la virtuosa scena rumena, particolarmente di tendenza negli ultimi anni. Senza fare un trattato storico sullo sviluppo di questa esperienza musicale, è facile notare tra di loro un grande spirito collaborativo: tutti si aiutano, si fanno pubblicità l’uno con l’altro, cercano di sponsorizzare i loro colleghi in ogni modo, senza invidia, perché se uno di loro dovesse crescere, crescerebbero tutti di conseguenza. Ed ecco come nascono esperienze come quella del Sunwaves, il festival rumeno per eccellenza, dove è possibile ascoltare durante l’arco di una settimana tutti i maggiori esponenti della scena minimal locale con l’inserimento di una selezione dei migliori giovani dell’anno che si sono distinti per produzioni e personalità durante i djset dell’anno precedente. Ecco, in Italia, siamo abbastanza convinti che sarà molto difficile, almeno in tempi brevi, avere esperienze di questo tipo. Noi ci proveremo nel nostro piccolo come sempre, con tutte le nostre forze, cosi come facciamo dall’inizio della nostra esperienza in questo settore, provando ad avvicinarci a tutte le realtà simili presenti nel nostro paese. Tante volte però sono più i portoni chiusi che le porte sfondate. Se crescessimo da questo punto di vista, torneremmo a non avere rivali.

In merito esclusivamente alla vostra proposta, da dove partite e quali fattori considerate per la pianificazione artistica di un evento? Dove si concentrano maggiormente i vostri sforzi?

L’esperienza che il cliente vive durante un nostro evento è solo il culmine del lavoro che vi è alla base della pianificazione dello stesso. Sicuramente la scelta del guest è un lavoro di importanza cruciale: si tratta trovare una soluzione idonea al nostro percorso musicale cercando quando più possibile di venire incontro ai gusti del pubblico, il tutto senza scendere a compromessi. Inoltre, grande importanza viene data alla line up e alla scelta dei resident che devono accompagnare ed assecondare le prime fasi del party in attesa della guest. Ulteriori sforzi, nella fase precedente all’inizio del party, vengono svolti in fase di allestimento, con una cura maniacale delle parti visual, che cerchiamo di volta in volta di implementare e rendere sempre più interessanti ed interattive per i nostri clienti. Il personale sempre cordiale e disponibile è infine un’arma sempre vincente durante lo svolgimento della festa. Noi difatti, non vendiamo nient’altro che un momento di svago dalla routine quotidiana, e cerchiamo di instaurare nei nostri clienti quel senso di fiducia e relax per far vivere loro una esperienza piacevole al di fuori dalla ciclica monotonia settimanale.

Antonio su di te grava una responsabilità ancora più grande dovendoti personalmente “occupare” anche della selezione musicale d’apertura, un momento connaturato da grande criticità. Come vivi quegli attimi da cui non dipende solo la tua immagine ma anche quella dell’intero Club Zero11?

Ciao Riccardo, io credo che un vero dj non possa non amare la fase di warm up di un party. Penso sia il momento più difficile e delicato, ma anche il più stimolante dal momento che questa è una fase lunga e complicata in quanto c’è da creare la pista da zero. Conoscere direttamente la maggior parte dei nostri affezionati clienti sicuramente è un aiuto innegabile. Capire il momento giusto in cui inserire una traccia piuttosto che un’altra è poi una questione semplicemente legata all’esperienza. Una sfida da non sottovalutare è quella di suonare praticamente ogni settimana nello stesso club, questo ti porta ad una maniacale e continua ricerca di musica nuova. Per fortuna, con le nostre etichette e grazie ai miei lavori come produttore posso sempre contare un apporto costante di materiale nuovissimo e spesso esclusivo da poter utilizzare settimana dopo settimana senza mai rischiare di cadere nel banale ripetendo le stesse soluzioni in djset così ravvicinati.

Tre ingredienti che secondo voi costituiscono la base per una serata che lasci il segno nelle memorie e nel cuore delle persone.

Musica innovativa e rivoluzionaria, mai banale, insomma, qualcosa che i clienti non abbiamo mai ascoltato, per far breccia nelle loro emozioni e lasciare un ricordo indelebile;

Cura maniacale dei dettagli: luci, allestimento, visual e tutte le altre forme artistiche presenti all’interno della location, possono passare inizialmente inosservate, ma svolgono un lavoro cruciale, talvolta anche inconsapevole, all’interno del party; qualità del beverage: un punto spesso dolente nei club italiani. Se in molte realtà underground, la qualità dell’alcool non è mai stata una discriminante per il successo, anzi, si è sempre tentato di fare economia da questo punto di vista, noi, dal canto nostro, cerchiamo nei limiti del possibile di attivare una proposta quanto più variopinta di bevande per soddisfare anche i palati più esigenti, mantenendo uno standard molto alto anche per la linea basic, con l’utilizzo prodotti di altissima qualità e marchi storici facilmente riconoscibili. Giusto per citare un esempio, da quest’anno, con Club Zero11, siamo diventati il primo locale ufficialmente brandizzato da Jagermeister in Abruzzo, prodotto di assoluta qualità di casa Campari.

Parliamo un attimo dei vari progetti discografici che parallelamente portate avanti.
Re.Face Limited occupa il top delle charts ad ogni release ed è una realtà più che consolidata nel teatro sonoro di riferimento; KOI è ancora avvolta nel mistero ma alcune indiscrezioni ne hanno parlato con lo stesso entusiasmo di sempre. In generale, che posizione ha il cosmo RE.FACE (e quindi quello discografico) nell’universo Club Zero11? È una coesistenza l’una all’interno dell’altra o si tengono semplicemente per mano seguendo un proprio binario?

Re.Face Records, nascendo ancora prima del progetto Zero11, ha una sua autonomia innegabile, frutto di 6 anni di vita e di tante esperienze già vissute. Con gli ultimi sviluppi, la prossima ed imminente apertura della nuova sublabel “KOI” e i molteplici progetti che gravitano attorno ad essa, potremmo dire che Re.Face Records ha avviato il suo processo per divenire a tutti gli effetti un “umbrella brand” che possa accogliere al suo interno una molteplicità di progetti ad essa interconnessi. È il caso appunto delle 3 etichette: Re.Face Digital, Re.Face Limited (vinyl only) e Koi Series (vinyl only), dei vari appuntamenti di Vinyl Market ideati nella città di Pescara, e perchè no in futuro l’idea di connettervi una Booking Agency o un Vinyl Store.

Ovviamente, come è logico che sia, quando parliamo di progetti ideati e coltivati delle stesse persone, le strade con Zero11 si intrecciano: i nostri showcase, gli artisti che rilasciano sulle nostre label, vengono ad esibirsi, com’è naturale che sia, nel nostro club.


E’ proprio nella nostra casa che valutiamo la maggior parte dei progetti che poi vengono rilasciati sulle varie etichette, testandoli nel nostro sound system, durante lunghe sessioni pomeridiane dove ancora ci emozioniamo ascoltando promo che arrivano da chissà quale parte sperduta del globo, consapevoli che, nel nostro piccolo, sempre con la massima umiltà, stiamo scrivendo una piccola parte del futuro di questa musica, decidendo quale traccia si e quale traccia no, farà ballare le masse nel prossimo futuro.