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Sono oggettivamente lontani i tempi in cui la discoteca era la meta del divertimento e dello spasso del sabato sera. Colpa della crisi? No. Anzi. Le casse dello stato sono traboccanti di introiti legati alla nigthlife, come riporta Repubblica in un articolo al vetriolo, 70 miliardi di euro sono gli incassi dello Stato, il 4% del Pil. Ma sono i gestori, e quindi le discoteche ad essere in rosso, a chiudere i battenti.

In Olanda: dal 2001 al 2011 il 38% delle discoteche ha chiuso. Gran Bretagna: nel 2005 c’erano 3144 discoteche, oggi ce ne sono 1733 – si legge su Repubblica –. E negli ultimi cinque anni i sudditi della Regina hanno speso 500 milioni di euro in meno per ballare. Berlino resiste: i 350 club attivi sono sempre lì ma i loro introiti sono in caduta libera. E in questo settore l’Italia è pienamente integrata con l’Europa: nel 2005 il censimento delle discoteche si concludeva con un numero che andava verso le cinquemila unità. Oggi di attive ce ne sono solo 2500. E secondo altre stime quest’ultimo numero è ancora tinto di ottimismo: nella penisola ci sarebbero poco più di 2mila discoteca attive. Dieci anni di buio: luci spente, piste vuote e tutti a casa”.

Ma quali sono le cause di questo torbido periodo storico?

Il cambiamento, o meglio, il peggioramento, è sociale, culturale e politico.

Non è più la discoteca l’unico posto nel quale si propone musica e si balla. E’ sicuramente l’unico con le carte in regola, cioè con tutti i permessi firmati e controfirmati dalle autorità, ma ormai si balla nei bar, nei ristoranti, nei capannoni, nelle ville, nei palazzi. E il 90% di queste attività è abusivo. Vera e propria concorrenza sleale.

C’è inoltre un sistema di tassazione che la gran parte degli esercenti definisce come “impossibile da sostenere”: “Prendiamo il prezzo del biglietto: il 22% è per l’Iva, il 16% riguarda l’imposta di intrattenimento, il 5% va alla Siae e il 2% è per l’Scf”. Un totale del 45%. “E con il restante ci paghiamo i contributi per i dipendenti, gli stipendi, i costi di gestione, quelli per il cibo e per le bevande. E gli utili che restano sono ulteriormente tassati del 57%”

Una regolamentazione antica e vetusta che non è al passo coi tempi e le esigenze cittadine. Ci sono addirittura leggi del 1931 che cercano invano di regolamentare la nigthlife nel 2016.

Il pubblico è cambiato: se prima la fascia di interessati erano coppie con età media 24 anni, ora ci sono branchi di giovani “con un’idea di divertimento distorta che mette in pericolo la serata”.
Il più delle volte arrivano già ubriachi, ma la legge obbliga a far entrare tutti nelle discoteche.

E aumentando i pericoli deve aumentare anche la sicurezza, così se una volta per serate con 1500 persone si necessitava di cinque addetti alla sicurezza, oggi, per serate con almeno un terzo di quel numero si necessitano di più di dieci addetti alla sicurezza.

Per non parlare della droga, un tema ancora caldissimo e attuale che è una delle questioni aperte sul fronte discoteca e che forse, nel nostro paese, mai troverà una trama delineabile.

C’è allora un modo per affrontare al meglio le suddette questioni e trovare una via d’uscita dal deperimento che la vita notturna sta attraversando in quasi tutta Europa da oltre un decennio?