Cosa rende un festival davvero vivo? Non solo i nomi in cartellone, ma il modo in cui si intreccia con ciò che lo circonda: un territorio, una comunità, una stagione.
Il VIVA! Festival, che si terrà ad agosto nel cuore della Valle d’Itria, è tutto questo. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Conte che con Turné ne è uno dei suoi ideatori, che ci ha raccontato come si costruisce un’esperienza che va oltre la musica — fatta di trulli, ulivi, incontri all’alba e visioni condivise.

Ciao Giuseppe e grazie di essere qui su Parkett!
Una cosa che colpisce subito è la direzione artistica del VIVA!, perché è uno dei pochi festival che vuole portare avanti quest’idea della musica come organismo vivo, che è capace di interagire con il territorio. Quindi volevo sapere da te: come nasce questa idea di curatela artistica? C’è un filo conduttore in quello che fate?
Nel corso degli anni abbiamo avuto delle evoluzioni. Siamo nati come festival di musica elettronica, come supporto di C2C. Da cinque anni invece, siamo passati – come Turné, la società di cui io faccio parte – a organizzare da soli il VIVA! Festival. Abbiamo cercato di avere una connessione sempre maggiore con il territorio.
La parte artistica per noi è un elemento fondamentale, ma è fondamentale viverla all’interno di quel contesto. Noi siamo in un posto che non è propriamente un posto dove si fanno concerti. È molto complicato allestire tutto, perché è un terreno incolto, lasciato lì. Però VIVA! non avrebbe senso, per esempio, in uno stadio – VIVA! vive quel contesto.
La musica che noi cerchiamo di proporre ha ragion d’essere solamente se vissuta all’interno di un territorio dove l’esperienza travalica quella del concerto, dell’artista che è sul palco in quel momento. L’anno scorso abbiamo provato con il videomapping e con una serie di attività a far vivere un’esperienza differente al pubblico. Quindi non è solamente il concerto: è il fatto che tu hai la visione del borgo di Locorotondo, il profilo, i trulli, gli ulivi, i vigneti, i muretti a secco… che magari per chi è del posto sono cose “banali”, ma per le persone che ci vengono a trovare sono un’esperienza aggiuntiva.
Altrimenti non si spiegherebbero banalmente anche i numeri che hanno fatto determinati artisti qui da noi. L’anno scorso ad esempio gli Air o gli Underworld hanno fatto più date in Italia, ma non hanno fatto i numeri che hanno fatto qui da noi. Perché evidentemente in questo contesto quell’evento acquista un valore particolare. Lo stesso è accaduto con Moderat o Bonobo due anni fa.
Quindi la parte artistica ragiona su questa logica: cerchiamo di capire quale possa essere lo show che ha senso in quel preciso contesto.
Quindi, per rispondere più precisamente alla tua domanda: non abbiamo un’idea di direzione artistica rigida. Cerchiamo di guardare quello che c’è in giro, andiamo ai concerti, pensiamo a come quegli show possano respirare all’interno di quel territorio.
Non ci siamo mai focalizzati su un determinato genere, ci piace alternare.

C’è tanto interesse dunque da parte vostra verso la dimensione dell’esperienza, non solo del concerto ma del festival in generale. Come cercate di crearla?
È così importante che abbiamo fatto tesoro anche di quello che non è andato bene lo scorso anno.
Abbiamo avuto problemi con i parcheggi perché abbiamo sperimentato le navette. Tutti ci chiedevano le navette, ma poi le hanno prese in pochi. Quindi abbiamo capito che dovevamo mettere i parcheggi a cinque minuti dalla venue. Non voglio fare esami del sangue morale a nessuno, però le persone sono abituate così.
All’ingresso, poi, hanno trovato difficoltà perché sono arrivati tutti insieme, e la strada era molto stretta. Quest’anno l’abbiamo allargata, i parcheggi sono a ridosso… tutto questo per cercare di far vivere sempre meglio l’esperienza all’interno della venue.
Non lavoriamo mai al limite delle capienze. Ragioniamo sul fatto che il concerto debba essere vissuto in una maniera adeguata: avere spazio per sedersi, muoversi, ballare.
Quest’anno metteremo anche una zona con tavoli e panche per mangiare. Cerchiamo di costruire attorno al festival una community: anche se un anno non hai il “supernome”, la gente viene lo stesso, perché sa che vale la pena esserci.
Alla fine vedi 5-6 artisti nuovi a sera, stai bene. Un tema: è difficilissimo portare in Puglia, ad agosto, produzioni importanti.
Perché magari quegli artisti hanno festival in Scandinavia o all’estero, come Lollapalooza a Chicago o Dekmantel ad Amsterdam. Non è mai stato un problema economico, è logistico.
Fourtet, ad esempio, aveva il venerdì sera ad Amsterdam. Avrebbe dovuto prendere un volo per Bari la mattina dopo, ma non c’era. E non possiamo pensare di noleggiare jet privati per tutti. A volte ti va bene – come l’anno scorso, con gli Air, che erano già in zona – altre volte ti va male. Per questo cerchiamo di costruire un’esperienza che travalica il nome.
Capisco che ora tutto ruoti attorno al sold-out e al nome altisonante, ma se tutti hanno il super-nome, nessuno ha il super-nome. Alla fine resta l’esperienza. Se l’hai vissuta bene, ne parlerai bene. Porterai amici, tornerai. Noi siamo consapevoli di cosa non ha funzionato, abbiamo preso nota e stiamo cercando di aggiustare.
Hai anche risposto a una delle mie domande, ovvero: è difficile organizzare un festival del genere in un posto del genere, quando le rotte dei grandi artisti vanno sempre altrove.
Ti faccio un altro esempio: i Justice, che è un altro gruppo che abbiamo seguito per due mesi. Alla fine, loro il 17 luglio erano in Repubblica Ceca. Poi, siccome il 6 agosto dovevano andare a un festival nel Nord Europa – tipo Oslo, quelle robe lì – cercavano una data d’appoggio per il 2 agosto. Infatti faranno Copenhagen il 2 agosto, perché avevano tre bilici. E la risposta che ci hanno dato è stata: “Puglia is too far”. Purtroppo è così. Non è impossibile, ma è complicato. Ci sono anni in cui ti va bene, altri in cui ti va peggio. E quindi devi lavorare con altre logiche. In maniera molto onesta.

In che modo il festival dialoga con la comunità di Locorotondo e della Valle d’Itria? Avete collaborazioni con la gente del luogo? Mi hai accennato prima alla strada, ma raccontami di più.
Innanzitutto, tutto il team è locale. Parliamo di almeno 120 persone che lavorano per il festival, tra chi si attiva negli ultimi sei mesi e chi lavora fissi. Il team di produzione è formato da 15 persone – architetti, ingegneri, project manager – tutti locali. Poi ci sono barman, steward, hostess, parcheggiatori, driver che accompagnano artisti e ospiti: tutte persone della Valle d’Itria o di Locorotondo.
Il secondo tassello è tutta l’ospitalità: le strutture ricettive, i ristoranti, le attività che si attivano grazie alla presenza del VIVA!.
Poi c’è un rapporto molto stretto con il Comune di Locorotondo, con l’amministrazione, e anche con la banca locale che è sempre vicina ai progetti che nascono sul territorio.
Una cosa che posso dirti è che tanti ragazzi hanno visto nel VIVA! la possibilità di pensare a qualcosa di diverso, di immaginare nuove narrazioni, che escono dagli stereotipi di certi pezzi del Sud Italia.
Ci apriamo anche alle collaborazioni nella parte ExtraVIVA!, cioè tutte le attività off-stage.
Quest’anno, ad esempio, avremo Cecilia Sala e Paolo Giordano. Cecilia torna da noi: non farà altri incontri quest’estate, ma ha scelto di tornare perché nel 2021 si era trovata molto bene.
Organizziamo questi incontri in collaborazione con un’associazione culturale di Locorotondo, che durante l’anno fa presentazioni nel centro storico. Cerchiamo di lavorare con realtà che già esistono e fanno cose valide, così da creare sinergie.
Anche i fornitori sono locali: i palchi li prendiamo da una ditta di Taranto, tutta la parte luci viene da Monopoli. Cerchiamo anche così di abbassare l’impatto ambientale del festival: far correre meno camion, scegliere chi è vicino, coinvolgere chi è già parte del territorio.
Anche dal punto di vista della sostenibilità, questa cosa è importante da raccontare.
Esatto. Anche l’acqua che distribuiamo viene da una fonte nella provincia di Bari – una delle poche in zona. Non lo facciamo per campanilismo, ma per coerenza. Se ti relazioni col territorio, ti relazioni anche con chi conosci, con chi ti risolve un problema in 5 minuti, perché lo frequenti tutto l’anno. Siamo un piccolo paese che si muove tutto all’unisono per questa cosa.

Oggi c’è la sensazione che i festival si stiano un po’ omologando. Come cercate di mantenere lo spirito del VIVA!? Come vi distinguete?
Cercando di resistere a certe logiche. Sappiamo bene chi sono i player che propongono “pacchetti” di artisti – pacchetti che poi rendono i festival abbastanza uniformi.
Abbiamo gusti personali e cerchiamo di non essere snob, ma nemmeno passivi. Io ho i miei gusti, che sono diversi da quelli dei ragazzi di Turné, e ancora diversi da chi ci aiuta nella ricerca degli artisti. Parliamo, discutiamo, andiamo a vedere i live.
Siamo curiosi, non prevenuti. Non abbiamo una regola fissa. Cerchiamo solo di capire se una cosa può funzionare qui. Abbiamo avuto artisti incredibili, che però erano distonici rispetto al contesto. Ti faccio un esempio: Arca, artista immensa. Ma nel pieno della Valle d’Itria ad agosto, con tutta la sua carica concettuale e caustica, non aveva senso. Sarebbe stato perfetto in un contesto urbano, invernale, chiuso. Ma qui no.
A VIVA!, in estate, le persone vogliono stare insieme, divertirsi, allentare le tensioni. E va benissimo così.

Infatti l’ultima domanda è questa: quanto è importante per voi creare spazi per le nuove generazioni di artisti?
Quest’anno ci stiamo provando tanto. Lo scorso anno avevamo una line-up con un’età media più alta, ma quest’anno abbiamo cambiato rotta. Abbiamo fatto di necessità virtù, come dicevamo prima.
Quest’anno la divisione è stata abbastanza netta sulle due giornate.
Venerdì abbiamo una parte più clubbing, dove abbiamo cercato di dare spazio a tutta quella che è la scena clubbing italiana alternativa – insomma, quella che diciamo tra di noi è “ballare bene e stare bene, senza tante fisse per la testa”.
C’è questa schiera con Camoufly, Fenoaltea, anche okgiorgio con il suo live e Parisi. A chiudere, a tenere un po’ le fila di tutto – un po’ come se fosse il padre spirituale di questa schiera – c’è Bonobo con un DJ set.
Il sabato invece abbiamo puntato più sui live: Greentea Peng, Studio Murena, Shablo con questo live nuovo che sta mettendo in piedi, contornato anche da altre clique come Ele A, Yune Pinku o il DJ set dei Jungle. Per chiudere, all’alba, con Christian Löffler. Non avevamo mai avuto un artista così di peso all’alba, ma ci piaceva questa cosa. Era nei nostri radar da tanto, ma volevamo portarlo in un’occasione particolare – e l’alba ormai è un evento classico di chiusura del nostro festival.
E per l’anno prossimo, che sarà il decennale, abbiamo intenzione di cambiare ancora tante cose.
Se dovessi descrivere VIVA! con tre parole?
Sicuramente territorio, quindi Valle d’Itria.
Poi estate, perché per me VIVA! è un pezzo della mia estate.
E infine amici, perché è uno dei pochi momenti dell’anno in cui riesco a invitare tutti i miei amici a stare insieme per un paio di sere e divertirci.
VIVA! non è solo un festival: è un ecosistema fatto di persone, errori corretti, scommesse vinte e legami autentici con chi quel luogo lo vive ogni giorno. In un’epoca di eventi copia-incolla, la sfida è resistere. E farlo con curiosità, onestà e un pizzico di utopia. Perché alla fine, come ci ha detto, “se l’esperienza l’hai vissuta bene, ne parlerai bene. E tornerai.”
I biglietti sono disponibili su DICE!
1, 2, 3 agosto 2025
Locorotondo, Valle d’Itria
