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L’estremo dinamismo del mondo del videogaming fa sì che sorgano e tramontino tendenze in tempi rapidissimi: a volte fuochi di paglia, come per esempio la modalità battle royale, ma altre volte dei fenomeni troppo profondi per essere liquidati come semplici mode. A questa seconda categoria appartiene il retrogaming: l’amore per cabinati, pixel e macchinette da bar si spinge fino a far prediligere titoli datati alle ultime uscite videoludiche. Un fenomeno che, per essere compreso, deve necessariamente essere esaminato alla luce di alcuni suoi tratti salienti: giocando quali titoli si può parlare di retrogaming? E a cosa è da ricondurre la predilezione per giochi datati?

Uno dei primi elementi è rappresentato, intuitivamente, dall’età anagrafica dei titoli. Per potersi parlare di retrogaming è sì necessario che un videogioco sia datato, ma non c’è una soglia al superamento della quale un videogame viene “promosso” alla categoria retrogaming. Più che all’età, meramente indicativa, si fa dunque caso ad alcuni elementi come, per esempio, il genere di appartenenza. Se infatti i generi videoludici non conoscono età, è allo stesso tempo innegabile che essi sperimentano delle fasi altalenanti, alternando periodi di estrema popolarità – e dunque di numero di titoli pubblicati – ad altri di minor interesse. Per riprendere l’esempio della battle royale, è evidente un titolo non si potrà considerare retrogaming: la moda che ha portato allo sviluppo del genere è molto recente, e si tratta quindi di una categoria molto distante dal retrogaming. Al contrario, un genere come lo strategico/tattico in tempo reale sarà più facilmente considerato retrogaming: nonostante non manchino esempi recentissimi la popolarità del genere era al culmine a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, rendendo i relativi titoli molto più inclini a essere considerati retrogaming.

Altro possibile indicatore è la longevità di una determinata serie. Non si possono certamente considerare retrogaming gli ultimi capitoli di The Legend of Zelda o Pokémon, due serie giapponesi ben risalenti; giocare ai primi rispettivi capitoli, invece, viene unanimemente etichettato come retrogaming. In questo caso vengono in rilievo differenze grafiche e di gameplay che, per gli amanti del retrogaming, “nobilitano” i titoli risalenti rispetto a quelli più recenti, sebbene appartenenti alla medesima serie videoludica: non di rado si tratta di differenze che incidono in maniera sostanziale. Si pensi a un qualsiasi titolo da cabinato, che ha implementato nelle sue meccaniche l’utilizzo del gettone: oggi un concetto a dir poco arcaico, ma in grado di assumere estremo valore per gli amanti del retrogaming.

Altro aspetto è quello legato e grafica e aspetto artistico del titolo: non si può sicuramente parlare di retrogaming in titoli caratterizzati dall’odierna resa visiva. Sono considerati retrogaming titoli tendenzialmente bidimensionali, con le concessioni alla tridimensionalità limitate ai primi sviluppi di tale tecnologia videoludica durante gli anni ’90. Gli amanti del retrogaming apprezzano maggiormente le grafiche semplici e essenziali dei giochi datati, perché da un punto di vista artistico ritengono i risultati raggiunti con scarse risorse tecnologiche molto più sorprendenti di quelli attuali. Non è forse un caso se, ancora oggi, molti titoli moderni vengono sviluppati in pixel art, con una scelta artistica ben precisa.

Insomma, alla fine a cosa va ricondotto l’amore per il retrogaming? Si tratta di un approccio reazionario al videogaming, appena stemperato da un po’ di nostalgia? In alcuni casi potrebbe anche essere, ma le ragioni sono sicuramente meno censurabili. Gli amanti del retrogaming, infatti, sono affezionati a un periodo dove l’intero mondo del videogioco era più semplice: a differenza di oggi il videogioco era un intrattenimento di nicchia, e molti titoli brillavano in originalità anche per gli ampi territori inesplorati nei quali si avventuravano. Amare il retrogaming, oggi, vuol dire ricercare le stesse sensazioni di meraviglia che l’esplosione del medium videoludico ha giocoforza stemperato; un compromesso necessario, certo, ma che molti videogiocatori che hanno conosciuto il “prima” non sempre riescono ad accettare. Come sempre, la risposta migliore è un approccio equilibrato: l’amore per i videogiochi del passato non dovrebbe impedire di rapportarsi con i videogiochi moderni; e allo stesso tempo, età e grafica di un videogioco del passato non devono essere d’ostacolo al suo godimento anche de parte delle più moderne generazioni di videogiocatori.