fbpx

Tiga e il suo rapporto con la musica: un’intervista interessante pubblicata sul The Guardian ha messo in evidenza alcuni aspetti importanti riguardanti la sfera artistica secondo il dj/producer canadese, intesa come fare musica e in particolare fare il DJ. Sono a nostro parere sfaccettature interessanti anche se a un primo impatto potrebbero apparire come banalità, per via del fatto che si appoggiano a parole chiave fino troppo usate e abusate nel mondo della musica elettronica. Ma andando un filino oltre alle parole per addentrarci con l’empatia all’interno del discorso, ci si può collegare a grandi temi, in particolare sulla live performance, e non ultimo al discorso sempreverde (o dovremmo dire sempregrigio) sull’EDM (LEGGI QUI).

Per cominciare, Tiga spoglia innanzitutto il ruolo del DJ da alcuni apparenti must legati all’aspetto. Ecco la prima chiave di volta, banale solo in apparenza. Essere fighi e splendenti non è necessario se si esce un momento dall’ottica del DJ-superstar alla quale ci stiamo purtroppo abituando in quest’epoca (LEGGI QUI). Per Tiga non è il DJ ad essere al centro della festa, e le persone che si riuniscono non sono lì per lui o lei. E’ il DJ a offrirsi alla folla, e l’attenzione è spostata lì. E quest’esercizio di concentrazione eterodiretta comporta automaticamente un parziale sacrificio dell’ego. Per cui spendere molto tempo, nel lavoro del DJ, a pensare all’atmosfera da creare, alla “vibe”, richiede una predisposizione a sacrificare l’egomania, quindi a fregarsene del proprio aspetto e di quello che gli altri pensano della tua immagine (TI INTERESSERA’ ANCHE QUESTO). Anche senza arrivare all’estremo opposto, al sacrificio completo, è inevitabile che il ruolo del DJ passa attraverso una condivisione, quindi un’interazione sociale che per definizione implica l’importanza degli altri a discapito del sè.

Questo pare andare in direzione diametralmente opposta ala filosofia EDM, in cui i set non sono propriamente concepiti per far abbandonare la folla a una danza continuativa, che potrebbe andare avanti per ore senza sosta, ma hanno un andamento del tutto diverso, drop-centrico, in cui tracce composte secondo schemi precisi (a discapito dell’atmosfera) prevedono una lunga salita prima del drop in cui l’auditorio non sa bene cosa fare della propria vita e aspetta, fino a che la sala non esplode in qualche battuta di cassa dritta, per poi fermarsi di nuovo. In tale processo il DJ riceve attenzione in quanto conduttore, ed ecco che torna ad essere importante la sua figura e tutto ciò che concerne il suo aspetto, il suo carisma, le sue doti di leader. Lui torna in primo piano e la musica è solo una sua emanazione: fa giocare la folla in un tutti-che-seguono-uno.

Ecco un esempio di spettacolo che si incentra sul momento del drop

Un altro elemento, prevedibile ma in realtà più complesso di quanto sembra, è l’amore autentico per ogni traccia che si sceglie per il set. Nel corso della sua formazione, Tiga riferisce di essersi accorto di non essere particolarmente musicale nel senso di predisposto alle mansioni del musicista come suonatore. Ma il suo amore per la musica l’ha portato lo stesso dove voleva arrivare, e ha trovato il suo punto di forza musicale nel saper scegliere le tracce. Sapienza che si affina non tanto con il capire le regole della musica, quanto sull’istinto e la capacità di fare connessioni. Tiga è convinto che se non ami perdutamente ogni singola traccia che metti durante un dj-set, si sente. La folla lo sente. Se l’intensità di quello che provi cala anche solo un po’, calerà anche la resa della festa, la “vibe“. E’ purtroppo estremamente facile perdere di vista questo fatto, anche perchè è un’arte, e in quanto tale non è possibile schematizzare, trovare un metodo universale, racchiudere delle regole in una formula. E si basa sui tempi di scena, come nel teatro. Il tempo è nei BPM delle tracce da far andare d’accordo, come anche nella testa del DJ che ha poco tempo per scegliere cosa proporre dopo. Ci vuole reattività. Lo stile è anche quello. Tiga è che convinto che amando profondamente, il lavoro risulterà facilitato, quasi automaticamente riuscito, perchè così facendo il focus diviene canalizzato correttamente. Se vogliamo è un’altra forma del famoso “ama e fa’ ciò che vuoi”.

(Via The Guardian)

Paolo Castelluccio