fbpx

Nei giorni scorsi è nata una polemica tra i Massive Attack e Pete Tong, sul celebre brano del duo britannico Unfinished Sympathy.

È il 13 Dicembre, siamo a Glasgow. Pete Tong si esibisce con la Heritage Orchestra. Il suo Ibiza Classic Show, spettacolo che ha l’intento di proporre alcuni dei più famigerati dischi degli anni 80 e 90, tra cui Unfinished Sympathy, sta facendo il giro del mondo.

Infatti, dopo il grande successo ottenuto a BBC radio 1, l’artista britannico ha deciso di mettere in piedi delle vere e proprie esibizioni live e ha formato una squadra composta da 60 membri, tra cui cantanti, musicisti, e persino un conduttore: Jules Buckley.

Durante la performance ripresa da uno spettatore al SSE Hydro di Glasgow, Pete Tong e la sua orchestra eseguono una cover di Unfinished Sympathy, singolo storico del 1991 dei Massive Attack in collaborazione con la cantante inglese Shara Nelson. È ignaro però di poter far scoppiare un polverone che non tarda ad arrivare.

È il 14 Dicembre. Sulla pagina ufficiale degli artisti di Bristol appare un comunicato sottoscritto da 3D, Robert Del Naja:

“Caro Pete Tong, grazie per aver eseguito una cover di una delle nostre canzoni nel tuo nostalgia nightmare roadshow. Non mi interessa che tu non ti sia preoccupato di contattarci per sapere se fossimo d’accordo, ma per tua informazione: quando suoniamo quella canzone mostriamo sullo schermo foto di profughi e di campi di accoglienza catturate dal fotografo Giles Duley al fine di raccogliere fondi per la UNHCR. Se hai intenzione di continuare a incassare dei soldi con queste canzoni, perché non dividi parte degli incassi dei brani e non devolvi il totale dei profitti di quella canzone alla UNHCR? Sarebbe il minimo che potresti fare.”

Contestualizziamo per comprendere a fondo il nocciolo della questione:

nel Settembre del 2016, a Bristol, i Massive Attack proiettano, durante l’esecuzione di Unfinished Sympathy, le fotografie di Giles Duley, che, ritraendo profughi in difficoltà, hanno lo scopo di smuovere la bontà altrui e raccogliere i fondi per la nota associazione UNHCR.

Sul maxi-schermo, ad accompagnare le immagini, una scritta che recita “In this togheter”, “Insieme per questo”. Il disco del 1991, appartenente all’album di esordio “Blue Lines”, si appropria quindi di un sentimento comune di altruismo e generosità per i rifugiati, ed è come se venisse contrassegnato: da quella data Unfinished Sympathy ha un significato e uno scopo ben preciso.

Pete Tong, agli occhi dei Massive Attack, ha svuotato di senso il brano. In sostanza non avrebbe diritto di appropriarsi di soldi che dovrebbero essere altrove, o di non trasmettere l’importante messaggio che, come sottolineato prima, è ormai parte integrante del brano.

Il comunicato è diretto, provocatorio, e dà il via ad una discussione mediatica da cui scaturiscono le più svariate e colorite opinioni.

Una questione morale o una questione mediatica? Era necessario un post su Facebook, affinché l’intero pubblico fosse partecipe?

Pete Tong avrebbe dovuto chiedere il permesso, per una semplice questione di virtuosismo musicale o per questioni legali? Perché mai Pete Tong non dovrebbe essere libero di eseguire la cover di qualsiasi cosa? E i Massive Attack, nonostante abbiano fatto buona musica, hanno chiesto il permesso per i tanti sample presi in prestito? La politica deve stare
fuori dal terreno musicale? Mera pubblicità o sincera lotta per una causa molto cara?

Pete Tong e Massive Attack: chi parteggia per l’uno, chi per l’altro.

La questione è aperta e intricata: in tutto questo turbinio di polemiche, un utente Facebook cerca di reindirizzare il percorso da cui la discussione aveva preso vita:

“E i bambini? Nessuna menzione per i bambini?”

In effetti questo è l’ambito: i Massive Attack non esprimono interesse per l’esecuzione/arrangiamento in sé del pezzo, e non invocano il tribunale della musica per la risoluzione di problemi legati al copyright.

Il problema è morale: Pete Tong avrebbe dovuto rappresentare Unfinished Sympathy con il significato attribuitogli dalla band.

Ad oggi l’artista britannico della BBC Radio 1 non ha ancora risposto, perlomeno mediante canali pubblici. Ci auguriamo che Pete Tong comprenda la questione sollevata, e possa chiarire la diatriba nel migliore dei modi possibili, affinché non si smarrisca il messaggio forte ed emotivo che il brano vuole continuare a trasmettere.

È sempre difficile giudicare un caso mediatico, discernere la morale dalla pubblicità o la musica dalla politica. L’importante è mantenere intatto il messaggio di solidarietà che il disco vuole comunicare.

Marco Ruspa