Vent’anni fa “OK Cowboy” ridefiniva la potenza e l’immaginario dell’elettronica europea. Oggi torna in una versione rimasterizzata che celebra un artista unico, capace di unire fisicità, melodia e visione come pochi altri nella scena internazionale.

Quando uscì, nel 2005, la stampa cercò subito parole all’altezza del fenomeno. C’era chi vedeva in lui “il Wagner del BPM”, per la capacità di comporre strutture elettroniche imponenti, progettate come cattedrali. Altri lo chiamavano “il Muhammad Ali del rave”, perché i suoi beat colpivano con la stessa precisione di un jab che ti prende in pieno volto. Qualcuno, con un po’ di ironia e molta verità, parlò di lui come “un guerriero metal-disco che trasforma la pista in un’arena”. Tutte immagini che dicevano la stessa cosa: Vitalic non era solo un produttore, ma un’artista con un’energia immediata, che arrivava dritta al corpo e all’immaginario.

Ora “OK Cowboy“, il suo album d’esordio, compie vent’anni. E torna in una nuova edizione rimasterizzata che raccoglie pezzi rari, materiali d’archivio e una versione inedita, disponibile in un cofanetto curato, oltre che in vinile, CD e digitale.

Per capire quanto questo disco sia stato determinante bisogna fare un passo indietro. Pascal Arbez-Nicolas nasce a Dijon, cresce tra strumenti acustici (suonava anche il trombone) e le prime scoperte legate all’elettronica. Nel 2001 arriva il punto di svolta: il “Poney EP” per Gigolo Records. Un maxi che ha segnato l’electro europea, diventando uno di quei riferimenti che ancora oggi i produttori citano senza esitazione.

OK Cowboy è il momento della consacrazione. Un album che parte forte e rimane lì, sospeso tra intensità e cura melodica. Da “La Rock 01”, una cavalcata che è entrata nel DNA di chiunque abbia vissuto la club culture di quegli anni, ai due capitoli di “Poney”, acidi e magnetici, fino al taglio pop ma affilato di “My Friend Dario”. Vitalic portava qualcosa di diverso: un’elettronica francese più materica, più fisica, più filmica rispetto alle sonorità tedesche o britanniche dell’epoca.

Negli anni successivi ha continuato a muoversi senza paura, costruendo una carriera che non ha mai dato l’impressione di volersi ripetere. Ha collaborato con vocalist e performer, ha attraversato sottogeneri e scene, fino al progetto Kompromat insieme a Rebeka Warrior: un territorio in cui EBM, punk elettronico e synth-wave convivono, mostrando un altro lato della sua identità sonora.

Per questo la ristampa del ventennale non è un’operazione nostalgica. È piuttosto un’occasione per riascoltare un disco che ha rimesso in discussione i codici dell’elettronica, e per ricordare quanto Vitalic abbia influenzato una generazione intera di produttori e clubber. Un artista grande, forse meno celebrato di quanto meriterebbe, ma che ha lasciato un’impronta solida, riconoscibile, destinata a restare.