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A pochi giorni dal debutto del loro progetto comune con D-Leria, i Beat Movement si raccontano a Parkett senza filtri e con la sicurezza di chi sa che sta dando il massimo per ciò in cui crede.

La prima impressione, guardando Mattia e Simone, al secolo Beat Movement, è quella di avere davanti due universitari qualunque, emigrati dal sud italia, residenti in una zona medio borghese di Roma, due ragazzi normalissimi. Quando però ascolti la loro musica e le loro parole, traspare tutta la voglia di emergere, di dare un impronta qualitativa di alto profilo ai loro lavori, di imporsi e di imporre. Una decisione nei modi che diventa travolgente quando si profila il loro legame, dato assolutamente per scontato, come se fossero un unicum, come se non esistessero senza l’altro, nessuno prevarica, nessuno passa nascosto, un onda unita, verso un obiettivo ben preciso, lasciare un solco nella musica elettronica. A pochi giorni dal debutto del loro progetto comune con D-Leria, i Beat Movement si raccontano a Parkett senza filtri e con la sicurezza di chi sa che sta dando il massimo per ciò in cui crede.

Come avete iniziato? Com’è arrivata la decisione di lavorare insieme?

Mattia: Abbiamo iniziato da ragazzini, 12/13 anni, ma suonavamo divisi. Successivamente durante una festa ci è capitato di suonare nello stesso party. Però, visto che il tempo a disposizione era poco, abbiamo deciso di provare a collegare due cuffie sullo stesso mixer e di provare a fare ballare così le persone. Il risultato è stato tanto soddisfacente e la critica anche del pubblico è stata così interessante che abbiamo deciso di continuare il progetto a 4 mani. Difficoltà varie, una città piccola e noi che volevamo proporre un genere un pochino più ricercato rispetto alla media. Comunque ci sembrava una cosa figa, ci trovavamo bene a lavorare insieme perché i porgetti e gli obiettivi erano comuni e quindi dai quindici anni fino ad adesso non abbiamo mai smesso di lavorare. Gli inizi sono stati duri, il pubblico non era abituato ad un certo tipo di musica, tanto che siamo stati spinti a trasferirci in una città che potesse darci più sbocchi, ci siamo guardati un po intorno e Roma ci sembrava fare al caso nostro, era ed è tutt’oggi l’epicentro della musica elettronica in Italia. Abbiamo fatto i bagagli, siamo partiti ed abbiamo iniziato a dare i primi CD in giro per locali che all’epoca conoscevamo solo di nome, finché non siamo entrati in contatto con quello che sarebbe diventato “What A Shame”, il nostro primo party a Roma, il Giovedì al Brancaleone, da li la residenza, tanta gavetta, abbiamo iniziato a conoscere la scena…

Anno?

Mattia: 2013-14 credo, un annetto dopo che ci siamo trasferiti…

Simone: Sostanzialmente Beat Movement ha iniziato ad evolversi da un paio d’anni a questa parte

Quanto é stato importante e sofferta la decisione di trasferisi a Roma?

Mattia: Subito, il passo è stato semplice, finiti gli anni della scuola già avevamo bene in mente cosa volevamo fare, è venuto in maniera naturale anche perché all’epoca iniziavamo a produrre, sonorità più deep, più house, ma che comunque necessitavano di un terreno fertile per crescere, cosa che in una provincia come Lecce era impossibile da raggiungere. Il nostro gusto si è sviluppato tanto grazie a Roma, secondo me attualmente in Europa Roma occupa i primi posti come scena, sia per gli artisti che per i party che propone. Passo dopo passo, inizi a conoscere persone che condividono la tua forma di pensiero, stampi i primi vinili e il tutto cresce in maniera consequenziale, fino a che non diventa naturale l’aprire una propria etichetta, inizi a distinguere le cose e a porti degli obiettivi.

E quando vi siete resi conto che Beat Movement poteva diventare qualcosa di importante?

M- Dall’uscita del primo vinile, Linea Rotta.

S- É stato il primo vero cambiamento, sia musicalmente che a livello personale

M- Iniziare a vedere un supporto fisico dove registrare la tua musica fa un certo effetto, se poi ci metti le critiche positive ricevute, ci siamo resi conto che veramente il nostro progetto stava diventando qualcosa di importante.

Quali sono state le figure chiave nella crescita dei Beat Movement?

Simone: Sicuramente Luciano (Lamanna ndr.) è stato una persona che ci è stato molto vicino, ci ha dato un sacco di consigli, per noi è stato come un fratello maggiore, quasi un padre.

Mattia: Ciononostante il nostro gusto si è evoluto da solo.

Simone: Facciamo una musica differente, ma ci siamo trovati su tante cose, ci ha dato una grossa mano anche dal punto di vista di gestione dell’etichetta, ci ha e tuttora ci aiuta e ci consiglia.

Mattia: Fa piacere avere una persona più grande, con tanti anni di esperienza, a tuo fianco, fai tesoro di quello che ti dice, poi logicamente ci sono tutti gli errori e le cadute che in una carriera ci stanno, questo è un settore dove si può sbagliare poco, anzi pochissimo, soprattutto in determinate cose. Da questo punto di vista il mondo social, la sovraesposizione non aiuta, se fai musica devi fare musica, se fai il ragazzino la tua immagine scavalca la musica e ne vieni risucchiato. Noi vogliamo fare musica, l’immagine ci sta, ma noi vogliamo fare musica.

Simone: Musicalmente parlando non abbiamo subito molte influenze, siamo abbastanza autoctoni, non siamo quelli che dicono “voglio fare i dischi tipo…”, vogliamo fare roba nuova, ci siamo trovati bene con Giuseppe (D-Leria) perché comunque abbiamo molte cose in comune, non solo i gusti musicali, ma anche l’età, l’approccio al lavoro.

Questo ci porta subito al prossimo punto, DLBM, etichetta nata insieme a D-Leria

S: É nata perché mandai delle demo a Giuseppe che ne rimase molto entusiasta e ci propose di provare a vedere se era possibile fare qualcosa insieme, ventiquattro ore dopo l’etichetta era nata, sei mesi dopo uscì il primo disco.

M: Poche ore dopo la decisione di lanciare una nuova label avevamo già la grafica, come sempre curata da Gino Venezi che segue le nostre grafiche da quando siamo partiti, è stato uno dei nostri primi contatti a Roma, gli siamo molto legati e gli dobbiamo molto, serissimo sul lavoro, una di quelle persone con cui è facile lavorare bene.

Poi dall’etichetta è nato il live a 6 mani…

M: Si, in realtà è una cosa che, come l’etichetta, è nata di getto, quasi per caso. Nonostante si mantenga su un determinato stampo sonoro, la label rispecchia la nostra voglia di non fermarci mai, essere sempre in evoluzione, fare le cose come vengono, di getto. La continua evoluzione dei progetti e dell’etichetta è un nostro stile di vita.

Passiamo al lato produttivo, quanto siete “dancefloor oriented” nelle vostre produzioni?

M: Ci piace fare cose che suoniamo noi, ad esempio DLBM 00Y è una cosa che suoniamo, che vogliamo suonare; stampiamo cose che vogliamo suonare, aldilà dei feedback degli altri artisti, sicuramente in questo mondo la critica è fondamentale, ma noi vogliamo fare in primis una cosa che piace a noi. Noi vogliamo andare avanti fino a diventare un giorno un icona di questa scena musicale.

Un Club Ideale secondo voi?

S: Tresor, senza dubbio.

M: Rappresenta appieno il nostro modo di vedere il club, gente che fa festa, informata sull’ospite, educata, che si diverte e che viene per piacere della musica.
Il tutto si riporta sulla cornice di Berlino che ci piace molto

Quindi tra Berlino, Detroit e Londra, quale Background musicale scegliete?

S: A nostro modo di vedere le cose si sono mischiate molto negli ultimi anni, non c’è più quello schema fisso che si rivedeva negli anni 90. Sicuramente a livello di scuola quella di Detroit.

M: Mi piace notare però che sono stati accomunati, sopratutto Berlino e Detroit, da situazioni di decadenza che hanno dato vita a delle situazioni di festa, se io dico techno, dico decadente e dalla decadenza nasce il progresso.

S: Ti dico, per me il Tresor è il”mio” club, la mia idea, li mi ci ritrovo in pista, mi sento a casa.

Tornando dalle parti nostre? Com’è il presente romano?

S: A Roma ci sono feste serie, di livello, penso a Container o Amigdala, preferisco suonare meno ma suonare da loro, ci sono feste, situazioni, incredibili, gente che si diverte e sa divertirsi, party, situazioni internazionali, dove trovi persone di nazionalità e idee, culture, abitudini diverse, che esprimono al 100% la loro personalità nel rispetto di se stesso e degli altri, ma sei libero di esprimerti senza limiti.

S: Al momento non ci poniamo limiti, ci sentiamo all’inizio di un percorso che sta dando i primi frutti ma che può regalarci tanto altro ancora, sicuramente ci sono due obiettivi principali, uno nostro, che è quello di uscire su un etichetta di calibro.

MMagari proprio Tresor

S: e poi sicuramente quello di far crescere la nostra etichetta.

Ecco proprio sull’etichetta, prossime uscite?

M: Non ti possiamo svelare i nomi, ma abbiamo pronto un various di 3 artisti di livello, di cui siamo veramente fieri, non ci poniamo l’idea del nome enorme, vogliamo essere coerenti con la nostra musica, magari domani ci viene voglia di produrre artisti iper sconosciuti, a volte ci arrivano demo assurdi da persone che non si sa nemmeno che faccia abbiano, un giorno perché no, ci piacerebbe ridare indietro quello che di buono abbiamo ricevuto dando visibilità a persone che altrimenti rimarrebbero sottotraccia.
Poi a livello di produzioni ci sono un lavoro con D-Leria e uno che uscirà in estate sull’etichetta di Luciano Lamanna, in questo momento però non vogliamo esagerare, come dicevamo prima è un mondo in cui l’errore è sempre dietro l’angolo.

 

Franco Amadio