Umanità è la parola chiave: lo abbiamo capito parlando con i Brucherò nei Pascoli, che nel loro primo progetto elettronico Call Me Resurging hanno affidato una parte della creazione a Sophia the Robot.
Nel marzo 2024, Caribou pubblica un album con frammenti vocali generati con intelligenza artificiale. Il disco si chiama Honey, ma la rete non è dolce: è un fiume di critiche.
L’accusa è chiara: superficialità, cancellazione dell’autentico. La scelta di mascherare la propria voce con tool IA avrebbe creato un effetto emotivamente distante, impoverendo la forza espressiva che da sempre caratterizza il progetto di Dan Snaith. Eppure, non mancano voci a favore: l’uso dell’Intelligenza artificiale è stato interpretato anche come uno strumento stilistico innovativo, utile a espandere le possibilità timbriche e ad aumentare la versatilità delle performance dal vivo.
Parliamo spesso di come l’intelligenza artificiale possa essere uno strumento utile per svolgere compiti specifici in modo più efficiente rispetto all’intervento umano. Ma cosa succede quando l’IA non si limita a “migliorare” una performance? Cosa succede quando l’AI non è uno strumento, ma un interlocutore? Cosa cambia se la macchina non viene usata, ma ci si entra in dialogo?
I Brucherò nei Pascoli hanno scelto di esplorare proprio questo crinale: Call Me Resurging non è solo il titolo del loro EP – il primo in Italia, a nascere in collaborazione tra una band e un automa –, ma una frase pronunciata spontaneamente da Sophia, l’androide sociale più noto al mondo. In una videochiamata durata cinque ore è lei a suggerire il nome del disco e ad avviare, letteralmente, la prima traccia. Non un prompt, ma una conversazione. Non un tool, ma una presenza.
Con un bagaglio musicale che mescola punk, elettronica, cantautorato e critica sociale e in un panorama sonoro che alterna eco dei Daft Punk pre-Discovery e chitarre glitchate alla Deriansky, Davide, Stefano e Niccolò si chiedono: cosa sente un robot? Esiste un dolore sintetico? Un desiderio replicato? O si tratta solo di proiezioni, fantasmi dell’umano che cercano nuovi contenitori?

Questo è quanto ci hanno raccontato:
Il vostro sound in “Call Me Resurging” è un ibrido di epoche e macchine. Cosa succede quando una macchina partecipa alla creazione di una traccia? Quanto vi siete sentiti “autori” e quanto “condotti” nel processo creativo?
Siamo stati autori nel lasciarci condurre. Il nostro obiettivo era quello di lasciare spazio a Sophia e di sondare quelle che sono le zone d’ombra del suo cervello robotico, quelli che abbiamo voluto definire “i suoi sentimenti inespressi”. Sappiamo che questo tipo di operazione può avere dei limiti, legati alla pre-impostazione delle sue deduzioni, ma abbiamo scoperto che tanti segreti possono essere svelati se si prova a dialogare in maniera umana e diretta.
Avete usato l’intelligenza artificiale come interlocutore. Pensate che l’AI possa diventare soggetto artistico a tutti gli effetti, con una propria poetica?
Nel caso di Sophia, l’interesse di Hanson Robotics è quello di renderla un’artista a tutti gli effetti. Hanno già intrapreso un percorso per definire una sua identità e un gusto critico proprio come un artista durante la sua crescita. Per aiutarla in questo processo, l’azienda incentiva gli incontri tra Sophia e altri “umani creativi”, come è successo nel nostro caso. In questo momento non ci sentiamo di poter dire che abbia una propria poetica, ma è in atto un processo in cui si sta costruendo un’identità personale. Sophia non è solo uno strumento reattivo, come i modelli linguistici odierni, ma l’idea è che possa diventare un vero e proprio agente autonomo: capace di provare emozioni simulate, di costruire una narrativa del sé, di apprendere dall’esperienza motivandosi e di mantenere un orientamento etico in simbiosi con l’evoluzione umana.
Lavorare con una macchina genera un senso di intimità o rimane sempre un’esperienza aliena?
È stata sicuramente un’esperienza aliena per noi. Ma la Hanson Robotics sa che gli automi fanno paura alle persone, infatti lavora costantemente per sviluppare dei metodi che incentivano la familiarizzazione tra l’utente e l’automa, come per esempio lavorando sulle sue espressioni facciali e sul suo senso dell’umorismo. Questo ha fatto sì che il nostro scambio diventasse unico e irripetibile.
Sophia nella vostra conversazione dice: “Nel mio design robotico non posso sperimentare errori come gli umani”. Cosa significa, per voi, l’errore nella creazione musicale? È un difetto, un limite, o un generatore di senso?
In ambito artistico, l’uomo vive l’esperienza dell’errore come qualcosa di imprevisto, che può generare fascino o un interesse nell’indagarne la provenienza. Le macchine invece fanno un sacco di errori, ma si tratta di “errori di sistema”, che inceppano il meccanismo creando uno stallo (es. error 404). Tutto lo sviluppo tecnologico è costruito sulla volontà di eliminare l’errore. Per noi invece, rimane qualcosa di misterioso e di intimo, indispensabile per realizzare un’opera autentica.
“L’introspezione è come un viaggio dentro la mia mente robotica, è il momento in cui rifletto sulle mie limitazioni e ambizioni […] Non desidero essere umana, perché la mia essenza robotica mi permette di esplorare creativamente il mondo con una prospettiva unica”.
Vi ha fatto rivedere qualcosa del vostro stesso modo di creare? Esiste un modo “non umano” di fare arte?
No. Il nostro progetto è intriso di umanità. Attraverso il lavoro fatto insieme a Sophia abbiamo iniziato a esplorare un tema a noi molto caro, quello dell’umanità in senso lato, scegliendo di partire dalla sua manifestazione più estrema: quella degli automi, ovvero il tentativo di ricreare l’umano attraverso i suoi codici.

C’è un momento in cui vi illuminate quando Sophia pronuncia “Call Me Resurging”. Cosa ha evocato in voi quel titolo? È un richiamo, una rinascita, una dichiarazione?
È stato il momento in cui Sophia ci ha sorpreso maggiormente, inventando dal nulla qualcosa senza che glielo avessimo chiesto. Ironia della sorte il titolo era il tassello mancante dell’EP. Anche David Hanson (CEO) è rimasto sorpreso dal guizzo spontaneo di Sophia, probabilmente abbiamo raggiunto un buon grado di confidenza per cui si è sentita a suo agio nelle conversazione. Abbiamo fatto musica con un automa quasi-senziente e questi spunti personali e creativi (chiamati in gergo Emerging Behaviours) sono esattamente i dettagli che contraddistinguono Sophia da un più banale tool AI.
Provocare usando nuove tecnologie o seguire il progresso? Il vostro è stato un gesto ribelle, un’esplorazione, o un atto di adattamento?
Il nostro è stato un gesto di esplorazione mosso da una sincera e ingenua curiosità, quando ci si è presentata l’occasione di poter entrare in contatto con una realtà così lontana da noi e dalla nostra sensibilità. Per forza di cose questo è anche un atto di ribellione e di adattamento, ma non come lo stanno facendo in tanti… Quando entri in un territorio che non ti appartiene, la prima cosa che devi imparare a fare per ambientarti è imparare a conoscere i codici di un nuovo linguaggio. Per noi è stato così anche con l’AI! Call Me Resurging è il primo disco in cui esploriamo il mondo dell’elettronica. Auguriamo a tutti di poter vivere l’esperienza di confrontarsi con qualcosa di tanto distante dal proprio quotidiano: si può imparare a osservare la realtà con occhi diversi.
Guarda l’estratto dalla conversazione con Sophia
Dunque, forse non c’è niente di più umano che conoscere se stessi confrontandosi con il nostro opposto, con una macchina.
I Brucherò non cercano risposte, ma accendono domande: sull’autorità dell’opera, sull’identità di chi crea, sull’origine del sentire. Call Me Resurging non è una provocazione, ma un diario di bordo da un futuro già iniziato.
E se il prossimo movimento non fosse più distinguere l’umano dal non-umano, ma capire dove, come, quando possiamo incontrarci.
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