Con il suo terzo vinile, Chapeau Music continua a consolidare la propria identità nella scena elettronica contemporanea. Questa volta vediamo M.I.T.A., protagonista del nuovo EP di quattro tracce, disponibile sia in vinile che in formato digitale.

L’EP si apre con “Money Driven”, una traccia che va dritta al dancefloor con un  groove incalzante e un vocal tagliente. La title track è accompagnata dal remix firmato Elisa Bee, producer e DJ italiana, il suo rework spinge “Money Driven” verso territori più cupi e club-oriented.
Il b side si apre con “My Love” che trasmette un’ondata di pura gioia seppur mantenendo una struttura minimale. La chiusura dell’EP vede la massima espressione della creatività di M.I.T.A. con “Movie Scene” dove il vocal danza sopra il groove in perfetta armonia.

Etichetta: Chapeau Music
Formato: Vinile 12” + Digitale
Catalogo: CHAPEAU003
Data di uscita: 3 ottobre 2025

Tracklist

·  A1. Money Driven
·  A2. Money Driven (Elisa Bee Remix)
·  Bonus digitale: Overdrums
·  B1. My Love
·  B2. Movie Scene

Mastering: Paul Mac @ Hardgroove Studio
Artwork: Michelangelo Greco

In occasione dell’uscita dell’EP CHAPEAU003, abbiamo scambiato due parole con Elisa Bee.
Partiamo dalla tua prossima release: il remix di “Money Driven”, rilasciato in vinile da Chapeau Music. Com’è stato per te reinterpretare l’originale di M.I.T.A.?
Ho avuto la fortuna di poter portare con me “Money Driven” ovunque per anni perché Mattia–M.I.T.A. la condivise con me poco dopo averla prodotta. La reazione del dancefloor è sempre stata molto intensa, quindi sono una fan del brano da sempre. Quando Mattia mi ha proposto di remixarlo ho subito pensato di distaccarmi dal mood “banger” già perfettamente creato da lui, per seguire una strada più deep, più ipnotica e forse anche un po’ più scura.

“Money Driven” guida un EP con una forte identità. Cosa cambia per te sul piano creativo ed emotivo quando affronti un remix rispetto a una produzione originale?

Cambia molto avere delle basi dalle quali partire (quindi le parti di un pezzo prodotto da qualcun altro) rispetto che trovarsi davanti ad un foglio bianco dove bisogna iniziare da zero. Quando lavoro ad un remix vengo già sommersa da idee su come rilavorare il brano anche solo dal primo ascolto, infatti accetto solo di remixare tracce che provocano in me questo turbine creativo, chiamiamolo così.

Guardando al tuo background musicale, quali riferimenti e contesti hanno avuto il maggiore impatto sulla tua identità artistica?

La mia identità è il risultato di un viaggio attraverso diverse scene che hanno plasmato la musica elettronica. Dalla techno di Detroit ho assorbito la visione futurista e l’anima ipnotica, dalla house di Chicago il groove e il calore umano che nascono nel dancefloor. Più tardi Berlino mi ha insegnato l’intensità, la resistenza e la capacità di spingere la techno verso altri territori. Infine, la scena UK mi ha aperto alle contaminazioni e all’imprevedibilità dei ritmi. Queste influenze convivono nel mio linguaggio sonoro, che non appartiene a una sola città ma al dialogo continuo tra tutte queste culture.

Allargando lo sguardo sul tuo percorso da producer: quali sono i riferimenti che ti guidano in studio e come è cambiato il tuo approccio nel tempo?

I riferimenti sono gli stessi di cui parlavo prima, sono molto influenzata dalla storia della musica elettronica underground e da temi “non musicali” come filosofia, fisica, misticismo. Il mio approccio in generale è quello di dedicarmi quotidianamente allo studio: della musica, dei softwares che utilizzo, delle nuove correnti, della storia. La curiosità costante è parte integrante del mio approccio alla vita in generale e questo non è mai cambiato nel tempo.

Il Berghain è uno dei punti di riferimento mondiali per la musica elettronica. Cosa significa per te, a livello personale e professionale, portare il tuo suono lì con continuità?

Suonare al Berghain per me è come un rito di passaggio: un luogo che trascende il club, dove il tempo si sospende e i corpi si trasformano in energia collettiva. Entrarci è come varcare una soglia iniziatica, sembrerò esagerata, ma per quello che ho percepito e percepisco ogni volta lì la techno non è intrattenimento, è come un linguaggio cosmico, esperienza di comunione e trascendenza.

Molte realtà indipendenti danno spazio agli artisti e rafforzano il senso di community, dimostrando che clubbing e label non sono soltanto palchi o cataloghi. Quanto contano per te player di questo tipo nella scena attuale?

Sono realtà fondamentali. E lo dico da resident del Tempio del Futuro Perduto a Milano, dove il senso di comunità è davvero molto forte e la musica si unisce a tantissime altre attività che fanno pensare che forse si può avere ancora fiducia e speranza nel genere umano. E’ importantissimo per me valorizzare l’unicità di ognuno, che sia in campo artistico o in generale umano, e sentirsi accettati per ciò che si è; questo succede quando la community che si crea è sana e aperta, il che da linfa vitale a chi si muove in un ambiente come quello underground.

Tra la pressione di un’industria frenetica, le aspettative del pubblico e i rapidi mutamenti della scena, quali ostacoli incontra oggi un’artista che vuole esprimersi senza compromessi?

Gli ostacoli fanno parte della vita di qualsiasi artista, in ogni epoca, e oggi uno dei più grandi è che l’industria spinge più sulla quantità che sulla qualità: è difficile emergere in mezzo al flusso infinito di uscite quotidiane, anche quando la tua musica ha davvero valore. Quanto alle aspettative del pubblico, non le considero un peso: se facessi musica per compiacerle, non avrebbe senso. Io faccio quello che sento, altrimenti non farei musica. È l’unico modo per restare autentica e non scendere a compromessi in un’industria che corre veloce e cambia continuamente.

Nonostante i progressi, lo squilibrio di genere nel mondo della musica resta evidente. Progetti come Equaly, Keychange e Women in Music stanno portando grande attenzione sul tema: quali passi pensi possano favorire pari opportunità e una scena più inclusiva ed equilibrata?

Credo che il vero cambiamento inizi da una base culturale diversa: da una società in cui le donne non debbano costantemente dimostrare dieci volte più degli uomini di saper fare il proprio lavoro. Per creare una scena davvero inclusiva servirebbe ripensare il modo in cui cresciamo, insegniamo e valorizziamo la musica, partendo dall’idea che talento e passione non hanno genere.

Dopo aver consolidato la tua presenza nella scena techno, il futuro resta terreno aperto per ricerca e sperimentazioni. Quali approcci ti incuriosiscono oggi e quali collaborazioni o progetti extra-musicali ti attraggono maggiormente?

È difficile dire da dove partire, perché ci sono davvero troppe cose che mi incuriosiscono: mi piacerebbe approfondire la fotografia, dedicarmi alla pittura, tornare a suonare la batteria o imparare un nuovo strumento. E ovviamente continuare a migliorare musicalmente sulle mie produzioni. Quello che mi entusiasma di più è il poter esplorare tutto questo giorno dopo giorno. Alle collaborazioni non penso mai fino a quando non accadono in maniera spontanea, quindi vedremo che succederà!