Lupo Mangiafrutta è un progetto che ci ha piacevolmente sorpreso per la freschezza del suond delle sue produzioni e per la dinamicità dei dj set che abbiamo ascoltato. In questa puntata di Internal Selection abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere con Mafalda e Marco (aka Ormeye), che chi hanno raccontato da come è iniziata la loro avventura.

Lupo Mangiafrutta, nonostante un nome che rimandi alla semplicità dei giochi d’infanzia, è un progetto di uno spessore notevole, capace di unire avanguardia musicale a liriche tanto affascinanti quanto cariche di tensione e significati nascosti. La profondità che abbiamo scoperto ascoltando il loro ultimo album Toc Toc ci ha portati a chiederci come nasca e come si sia evoluto il rapporto tra la cantautrice napoletana e il producer, che giocando come bambini durante una jam session improvvisata sono arrivati a proporre a pubblico un lavoro così ricercato e piacevole da ascoltare.

Ecco cosa ci hanno raccontato su Lupo Mangiafrutta i due protagonisti, ed ecco la selezione che hanno registrato in esclusiva per la nostra podcast series Internal Selection.

Ciao ragazzi benvenuti su Parkett. Ci piacerebbe raccontare la vostra storia dall’inizio: come vi siete avvicinati alla musica elettronica?

Venivamo da background musicali diversi, Mafalda dalla dub e dalla dancehall dei centri sociali di Napoli, Marco dal rock e da tutto un filone di musica suonata nelle sale prove. Per entrambi c’è stato un momento di epifania con l’elettronica durante l’adolescenza: l’abbiamo incontrata sul dancefloor. Poco dopo Marco ha iniziato a fare il dj, cosa che va avanti da 15 anni, e quindi è stato abbastanza naturale iniziare a giocare con le sue macchinette e con quelle prestateci dagli amici…

Quando e come nasce Lupo Mangiafrutta?

Letteralmente da una jam notturna in pieno inverno. Avevamo questa idea di rinchiuderci in casa per suonare tutta la notte, dovevano esserci un po’ di amici che non si sono presentati e quindi alla fine abbiamo jammato da soli per ore, con la fatale intuizione di registrare tutto, così per gioco. Dopo un po’ che suonavamo con svariati strumenti ed effetti senza una direzione precisa, ha cominciato a manifestarsi un flusso energetico molto spontaneo e sperimentale che abbiamo voluto replicare successivamente in altre sessioni successive. Ci siamo accorti che avevamo qualcosa da dire di molto concreto e palpabile: questo ha dato vita al Lupo Mangiafrutta.

La cosa che mi ha stupito di più quando vi ho ascoltato per la prima volta è stata la capacità che avete di bilanciare perfettamente la parte vocale con la parte strumentale, senza che una possa soffrire l’altra. Al contrario, la voce in alcuni momenti diventa quasi uno strumento aggiunto che dà ancora più potenza alla base, mentre in altri è l’assoluta protagonista, e ogni parola ha un peso enorme, sprigionando e liberando la forza della sua essenza, della sua semantica… Avete un suono davvero contemporaneo e allo stesso tempo fresco, avanguardistico. Come lo avete ottenuto?

Probabilmente la fusione dei nostri due mondi ha creato questo mix ben bilanciato di attenzione al testo e cura del suono: Mafalda come cantautrice ha sempre dato un certo peso alle parole e alle melodie del testo, mentre Marco ha portato la sua attitudine rock nel modo di utilizzare strumenti ed effetti, abbinati ad arrangiamenti ed attenzione ai dettagli da producer elettronico. Siamo contenti di sapere che si percepisca una forza essenziale e una sensazione di fresco, non abbiamo fatto altro che lasciarci guidare e ispirare dalle nostre intuizioni e preferenze, in tutta le fasi del processo creativo, suonando e registrando tutto autonomamente nel nostro studio, a casa. Questo senso di libertà ci ha dato una grande forza.

Lupo Mangiafrutta
Photo credit: Valerio Motta

Vorrei soffermarmi sulla parte strumentale: Toc Toc è un album davvero ricco di influenze. Troviamo un background acid in Capelli, una dimensione più folk in Armonici, spacey in Strato 19, e poi ancora break e industrial in Calda e Medicina, hip-pop in Luna (unico featuring dell’album). Ascoltando il disco con attenzione, da un lato emerge la voglia di metterci dentro tutti voi stessi, dall’altro siete riusciti a far coesistere tutto il vostro background in modo molto coerente. Avete comunque fatto delle scelte rischiose quanto coraggiose: come lo spieghereste?

Sì, in effetti siamo consapevoli di aver fatto delle scelte rischiose ma siamo in un certo senso fieri di essere difficilmente etichettabili in un genere musicale ben preciso. Ci siamo sentiti liberi di portare nel progetto ciascuno il proprio bagaglio musicale, a tratti anche molto distante, senza dover essere “fedeli” a uno stile definito: questo è stato coraggioso e anche molto soddisfacente. Abbiamo iniziato a suonare insieme perché avevamo voglia di fare musica, senza troppi compromessi. Siamo contenti di sapere che, al di là dei generi musicali, questa coerenza sia stata colta.

Inoltre, a mio parere, Toc Toc con le diversità si sostiene e completa benissimo grazie all’ordine delle tracce. È stato tutto volontariamente creato ad hoc, partendo da un’idea e da una struttura compositiva definita, o ci siete arrivati lasciandovi andare da un punto di vista creativo?

Ci fa molto piacere che hai colto la visione d’insieme anche dando valore all’ordine delle tracce, grazie! Sicuramente ci siamo molto lasciati andare da un punto di vista creativo, però allo stesso tempo ci siamo accorti che quello che suonavamo spontaneamente aveva già una struttura compositiva ben definita, anche l’ordine delle tracce si è manifestato in modo molto diretto e preciso fin da subito: la cosa curiosa è che non ci abbiamo dovuto pensare tanto, dopo la prima volta che abbiamo elencato i brani non abbiamo più cambiato idea.

Tornando alle liriche invece: come vengono scritte e come vengono associate alla musica? Cosa nasce prima?

Alcuni testi o frammenti erano stati già scritti in quel periodo, facevano parte del diario di Mafalda più recente, e hanno trovato la loro dimensione attraverso la musica, altri invece sono nati dall’improvvisazione ispirati da quello che stavamo creando con gli strumenti durante le jam. E qui il ruolo fondamentale della registrazione, senza questo passaggio molte cose sarebbero andate perdute perché provenivano da quel preciso istante di alchimia.

Lupo Mangiafrutta
Photo credit: Valerio Motta

E l’alternanza tra italiano e dialetto è una scelta estetica o rappresenta una volontà di radicamento in una specifica tradizione musicale?

Più che da una tradizione musicale, la scelta del dialetto in alcuni punti è dettata dalla potenza che esprime questa modalità di linguaggio per una persona che vive in una città diversa dalla propria di origine. Esprimersi in napoletano per Mafalda significa dire qualcosa di particolarmente toccante o importante, che scuote, a cui si vuole dare una certa carica emotiva.

Qual è il messaggio che che volete trasmettere con questo album?

Vale la pena coltivare un rapporto serio con la musica ma senza abbandonare la dimensione ludica e spontanea, dando vita ad uno spazio sicuro in cui crearsi le proprie regole. In una società frenetica e pre-confezionata che tende all’omologazione verso immaginari disegnati ad hoc per le necessità del sistema; vogliamo gridare che vediamo e sentiamo il disagio, e questa è la nostra risposta propositiva.

Parliamo del podcast che presentiamo quest’oggi. È un dj set dove alternate brani vostri a brani di altri artisti (noto con piacere la presenza di un bellissimo lavoro estratto da “Compact Demons” di Caramel Chameleon sul finale). Ha un flow davvero ben pensato e un approccio squisitamente dancefloor-oriented. In futuro avete in programma anche di esibirvi in dj set e coltivare quest’aspetto oppure vi focalizzerete più su esibizioni live?

Ci siamo dedicati più alla dimensione live ma abbiamo fatto qualche esperimento dal vivo con il dj set, è un aspetto che vorremmo approfondire. Mixare dei brani e cantarci sopra con una linea di effetti ci diverte molto e ci permette anche di essere più “leggeri” quando ci esibiamo, sia da un punto di vista di strumentazione da portare, sia per lo spirito di improvvisazione che in questi casi fuoriesce chiaramente. Sinceramente parlando, registrare questo podcast per Parkett ci ha dato moltissima gioia e ci ha fatto venire una gran voglia di andare più a fondo, vi ringraziamo tantissimo per l’invito!

Photo credit: Valerio Motta