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Soundcloud il 6 luglio ha annunciato il licenziamento di oltre 173 dipendenti e la chiusura degli uffici di San Francisco e Londra. Il sito di streaming audio al cui interno risiedono oltre 175 milioni di utenti sparsi in 190 paesi, dichiara che le misure di taglio dei costi sono una necessità per assicurare il loro percorso verso il successo a lungo termine.

Queste sono state le parole del co-fondatore “Alex Ljung” rilasciate nel suo blog personale in questi giorni. Ma se analizziamo in modo più dettagliato ciò che sta accadendo all’azienda dal 2015 ad oggi, i risultati sembrano portare verso un’unica ipotesi: il possibile fallimento della piattaforma.

Già nel 2015 infatti, le perdite monetarie di SoundCloud erano cresciute più rapidamente dei ricavi, portando così l’azienda ad un calo netto di 51.22 milioni di euro e a dover ammettere che in caso di insuccesso del nuovo servizio di sottoscrizione SoundCloud Go, (lanciato lo scorso anno negli Stati Uniti, Regno Unito e in Germania, sedi che Ljung ha dichiarato che non verranno chiuse), la società avrebbe potuto esaurire le proprie finanze entro il 31 dicembre 2017. Con queste aspettative in molti avevano visto una fine pre-annunciata. Ma ciò nonostante Alexander Ljung aveva dichiarato:

“L’importanza di un lancio di successo del nuovo servizio di abbonamento è l’elemento chiave delle [nostre] proiezioni finanziarie per i prossimi tre anni”. Mentre gli amministratori ritengono che il gruppo avrà fondi sufficienti per continuare a far fronte ai propri debiti fino al 31 dicembre 2017. Ma i rischi e le incertezze potrebbero portare l’azienda a corto di denaro contante prima di tale data, cosa che porterebbe il Gruppo a dover richiedere ulteriori fondi, operazione che non era in programma”.

E sempre in un comunicato un rappresentante della piattaforma aveva sottolineato:

“SoundCloud ha depositato i propri conti relativi al 2015 attraverso Companies House nel mese di dicembre, e sono ora a disposizione del pubblico. I conti mostrano che, nel 2015, siamo stati fortemente concentrati a mettere in atto le misure necessarie per costruire il nostro modello di monetizzazione, tra cui il nostro servizio di abbonamento consumer SoundCloud Go, e il roll-out della pubblicità sulla piattaforma. Questo significava investire in tecnologia, persone e marketing, nonché garantire accordi di licenza complessi con i principali partner dell’industria musicale. Per questo motivo l’azienda è in questa situazione.”

Ma nonostante queste preoccupazioni, sembrava che la società potesse essere ancora un posto redditizio dove lavorare. Almeno fino a qualche giorno fa. L’organico infatti era cresciuto del 25% nel 2015, passando da 236 a 295 persone (ad oggi circa 400 prima dei tagli) e spendendo 26.77 milioni di euro per i salari dei propri dipendenti.

Le cose quindi sembra non siano andate esattamente secondo quanto previsto. I 173 licenziamenti e le polemiche emerse sull’accaduto e pubblicate sul sito TechRunch di questi giorni infatti, potrebbero significare che i finanziamenti (mai stanziati) e/o gli investitori che avevano preso in considerazione l’acquisizione, abbiano rivalutato alcune mosse strategiche effettuate dal gruppo e non condivisibili secondo le proprie logiche imprenditoriali. Spotify ha definitivamente abbandonato la corsa per l’acquisizione del gruppo, in perdita insieme a Pandora, e in procinto di un possibile IPO (Initial Public Offering, procedimento con il quale la società si quoterebbe in Borsa).

Sempre attraverso alcune informazioni uscite in questi giorni sembrerebbero aprirsi nuovi scenari per quanto riguarda il futuro dell’azienda. Dopo che Twitter, Google e anche la stessa Spotify si siano definitivamente fatte da parte, potrebbe essere Deezer ad acquisire la piattaforma nei prossimi mesi.

Non vedo l’ora di condividere con voi più informazioni sui piani per il nostro futuro nelle prossime settimane

avrebbe dichiarato Ljiung.

Dopo i licenziamenti l’azienda ha tenuto una riunione per spiegare ai dipendenti rimasti il motivo che ha portato un taglio drastico di oltre il 40% del personale. Risposte che non solo non hanno convinto i lavoratori, tenuti allo scuro di tutto, ma che hanno contribuito a far crescere la tensione all’interno del gruppo e all’interno delle società che girano intorno ad essa. Secondo quanto emerso dalla conferenza video tenutasi lundedì inoltre, il personale sarebbe stato messo al corrente che l’azienda avrebbe abbastanza liquidità per durare “fino al quarto trimestre” di quest’anno.

Ma la risposta di Alex Ljung per fare chiarezza su tutto l’accaduto e in risposta a  TechRunch non tarda ad arrivare; il 12 luglio attraverso un’intervista rilasciata a Tech Open Air Berlin, Lijung afferma che SoundCloud starebbe affrontando momenti difficili, ribadendo che i dipendenti licenziati e la chiusura dei due grandi uffici serva per “riprendere il controllo” del proprio futuro.

“Siamo una delle più grandi piattaforme musicali del mondo. Anche ieri siamo stati tra i primi 20 nella classifica di tutte le applicazioni scaricate. Quindi abbiamo ancora un’enorme base di utenti e margine di crescita. I numeri di brani sono ancora in crescita. Quindi tutto, in termini di business, sta andando bene.”

Il gruppo ha rilasciato inoltre anche una serie di dichiarazione sempre in risposta da quanto emerso in merito alla situazione finanziaria dell’azienda. Sottolineando “un certo numero di imprecisioni” nell’editoria dovuto ad una male interpretazione delle informazioni date da uno dei dipendenti licenziati.

“Per chiarire, SoundCloud è pienamente finanziato per il quarto trimestre”, ha detto il portavoce. Continuiamo a essere sicuri che le modifiche apportate la settimana scorsa ci abbiano messo sul nostro percorso di redditività e ci garantisca la crescita a lungo termine del gruppo”.

Qualunque sia il destino della piattaforma resta ancora difficile da ipotizzare come andrà a finire, le mosse finanziarie e gli investimenti per riportare a galla una delle piattaforme di streaming musicale più importante del pianeta le conosceremo col passare dei giorni. Quello che possiamo fare è iniziare a cercare le alternative, che non sono poche, e di cui vi abbiamo parlato in un nostro recente articolo.