Nel vasto universo della melodic techno contemporanea, pochi artisti riescono a scolpire un’identità sonora tanto nitida quanto quella di 19:26.
Dopo un anno segnato da apparizioni scenografiche — dal colosso di Tomorrowland alle rovine cariche di storia delle Piramidi di Giza — l’artista italiano torna su Afterlife con “The Passage EP“, un progetto che non è semplicemente una raccolta di tracce, ma una vera e propria dichiarazione di poetica.
Cinque brani che non si limitano a muovere il corpo: scavano nell’inconscio, evocano soglie, trasformano la pista in un rituale interiore. “The Passage” è il racconto sonoro di una frattura, un prima e un dopo, e di un viaggio attraverso il tempo emotivo.

Il titolo è già manifesto: “The Passage” è un attraversamento, un ponte sospeso tra dissoluzione e ricostruzione. Le collaborazioni con nomi di peso come MRAK, Yubik e Layla Benitez non servono a decorare, ma a modulare l’intensità narrativa, come voci diverse in un monologo interiore corale.
“Overrated” (con MRAK) apre l’opera come una fenditura: linee sintetiche spigolose e un senso di urgenza quasi mistica, come se il mondo si stesse sgretolando sotto il peso della consapevolezza. Con “Relax Your Mind” (feat. Yubik), la tensione si trasforma in ipnosi liquida: groove incalzante, bassi pulsanti e una costruzione che sfiora lo stato trance-like, lasciando spazio alla resa totale. “All The Time” (con Layla Benitez) è desiderio che si avvolge su se stesso: la ripetizione non è loop, ma ossessione, una spirale elegante di arpeggi e texture vaporose.
“Resurge“, il primo dei due brani solisti, è forse il più vulnerabile: una rinascita che non è trionfo, ma tensione fragile verso la luce. “Nocturne” chiude il cerchio: un addio malinconico, quasi cinematografico, sospeso tra glitch e riverberi notturni, come se il tempo si fosse fermato in un ultimo sguardo.

C’è qualcosa di profondamente contraddittorio, e proprio per questo affascinante, nella musica di 19:26. È al tempo stesso monumentale e intima, gelida come una cattedrale post-industriale, ma percorsa da una tensione emotiva che lacera. La sua firma estetica è inconfondibile: strutture armoniche che flirtano con il dramma sinfonico, bassline precise, vocal sospesi dentro universi eterei e impalpabili. Ma ciò che distingue “The Passage” non è solo il suono, bensì la narrazione. Ogni traccia è un “threshold”, una soglia da varcare: illusioni che si sgretolano, memorie che affiorano, identità che si ricompongono. In un panorama elettronico spesso vittima dell’effimero, 19:26 costruisce architetture del profondo.