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Carlo Mognaschi è uno di quei nomi che entrano prepotentemente nella scena musicale milanese da molti anni. Proprietario e Dj resident del Q21, Club storico della città, grazie alla sua immensa passione per la musica ha sempre saputo mantenere stabile quell’equilibrio tra proposta musicale e innovazione. Caratteristica che gli permette di festeggiare quest’anno, la sua ottava stagione consecutiva di q|LAB: serata del venerdì (guarda il video dell’opening del 28 settembre a fondo pagina).

Protagonista dietro la console in un Club che ogni anno propone un restyling sempre nuovo, noi di Parkett abbiamo avuto il piacere, attraverso una lunga intervista e grazie al suo Podcast per il nostro Internal Selection, di conoscere la vita e il percorso artistico di una colonna portante della nightlife milanese.

Ciao Carlo e benvenuto su Parkett.

Sei sia Dj resident che proprietario di uno dei Club più importanti di Milano: il Q21. Locale nel quale ogni venerdì sera prende vita una delle serate più interessanti della città: il q|LAB. Tra le descrizioni che ho trovato per riuscire a spiegare cosa sia la tua locanda, (come la definisci tu), ne ho trovata una in particolare che mi ha affascinato molto:

“Q21 è un contenitore internazionale per creativi, un’event location. Con un tono “berlinese” e un abito vintage e nero, può vestirsi da temporary shop, può mostrarvi i volti dell’arte e della moda, esporvi le mille sfumature del design o prestarsi per eventi unconventional. Vive di notte ma anche di giorno, nessun giudizio, non pone limiti alla creatività ed ha molte storie da raccontare”.

Ma prima di arrivare al Club partiamo dalle origini, e alla tua di storia. Partiamo dal tuo avvicinamento alla musica fino al percorso artistico che ti ha portato a sbarcare a Milano nel 1997; per decidere successivamente di dare vita a quello che da li a qualche anno sarebbe diventato un vero e proprio punto di riferimento per la città. Insomma, raccontaci chi è Carlo Mognaschi prima del Q21.

Stefano, guardandomi indietro ti posso dire che ho sempre amato far divertire, far star bene le persone che mi erano vicine. Sono cresciuto in una famiglia che mi ha tirato su con una educazione molto rigida, non avessi ereditato da mia madre un carattere ribelle a quest’ora potrei tranquillamente essere uno di quegli sfigatissimi padri di famiglia che vanno a trans e magari ne fanno a pezzi qualcuna, ed invece eccomi qui a 56 anni reduce da un after dove mentre mettevo musica rispondevo al telefono ai clienti che mi chiedevo “se ero ancora aperto”. Già a 18 anni, erano gli anni 80, ho trasformato la casa dei custodi della villa dove sono cresciuto in basso Piemonte in una discoteca dove poter invitare i miei compagni di scuola, a livello di libertà più in là non potevo spingermi perché i miei non mi han permesso di uscire di casa alla sera fino a 22 anni, e quindi grandi feste in casa nei weekend. Nella mia discoteca fatta in casa non mancava niente: macchina del fumo, palla di specchi, luci psichedeliche, strobo, e laser, tutti rigorosamente autocostruiti. Mentre mi costruivo il laser per poco non mi sono accecato, perché tarando gli specchi l’ho guardato per un po’ troppo tempo da vicino, quella congrega di santi in paradiso addetti alla mia sopravvivenza quanto hanno dovuto lavorare dai 18 ai 35! Il tentativo di seguire le orme di famiglia nell’azienda di mio padre c’è stato, ma non faceva per me, ed ecco che mi trovo al posto giusto nel momento giusto: l’88, stava esplodendo anche in Italia il fenomeno dell’house. La mia prima serata come dj, al Diva di Genova, la casa di un Dj che ho imparato ad apprezzare e stimare sempre più col passare degli anni: Paolo Chighine. Ricordo ancora il primo vinile che ho “suonato”, travestito da vecchia zia con una parrucca spelacchiata in testa e un vecchio cappotto in loden marrone: Pacific State, degli State 808. Dal Diva ho avuto la fortuna e il piacere di inaugurare l’Imperiale di Tirrenia, assieme a RobyJ e a Gabri Fasano, e da lì passare al Duplè, dove con Ricky Birickyno ho formato una coppia musicale che è durata anni e ha girato mezza Italia: Tartana a Follonica, Lidò a Chiavari, Studio 2 e Crossover a Torino in compagnia di Lorenzo LSP.

Un decennio che a raccontarlo fuori verrebbe fuori un libro, da quante ne ho combinate, che ricordo come un periodo aureo, irripetibile, pieno di tanta passione e ricerca musicale, tanti km, e tanto, tanto divertimento.

Fra le tante che ho combinato, te ne scelgo una: una mattina all’alba tornavo a casa con una mia amica da Novara, eravamo stati ad una “Clinica”, i famosi party in casa di Jackmasterpez. Mi fermo ad un autogrill a far pipì, e mentre mi lavo le mani, e me le asciugo, vedo sopra all’asciugatore elettrico una bottiglia di Domestos, un liquido per i pavimenti evidentemente dimenticato dal personale delle pulizie, e mentre mi asciugo le mani penso: “ma se io giro la bocchetta, la riempio del detersivo e schiaccio il bottone, si metterà a fare le bolle? Dai, proviamo” giro il bocchettone, lo riempio di detersivo, schiaccio il bottone, e… ricordo solo un enorme lampo blu, e poi il buio totale. Avevo mandato in corto tutto l’Autogrill. Con nonchalance, esco dal bagno, salgo in macchina, e me ne vado, spiegando alla mia amica che era tutto a posto.

Un bizzarro susseguirsi di eventi imprevedibili, o una delle mie tante “sliding doors” mi ha portato a Milano, strappandomi alla mia bella casetta sul mare a Rapallo dove c’era festa 24/7: ’95, un amico smanettone mi installa sul pc un programma per chattare, “mirc”, e con quello mi ricordo ho conosciuto parecchi personaggi interessanti, fra cui quello che sarebbe stato il mio compagno per 7 anni, e con cui ho costruito il “Q”.

La città così si trova con questa nuova realtà tra i suoi tentacoli dinamici e in continua trasformazione; siamo alla fine degli anni ’90. Attraverso i tuoi occhi raccontaci l’anno zero, l’anno in cui come in tutte le grandi cose, per arrivare ad avere il prodotto che si è immaginato e sognato, bisogna sperimentare, cercare, provare e perché no, anche sbagliare.

Con il mio compagno di allora, dopo quasi un anno di ricerca della giusta location, abbiamo trovato un club di biliardo all’interno di una vecchia fabbrica di cavi elettrici degli anni 30, il cui proprietario delle mura in questi 20 anni è diventato per me il padre che non ho più, e aiutati dalla mente geniale di Fabrizio Bertero, architetto e ancora oggi mio socio, lo abbiamo buttato giù e trasformato in un club per quei tempi super moderno: acciaio, cemento e proiezioni.

La zona negli ultimi anni si è data un nome altisonante: NoLo, ed è in pieno fermento ed espansione, con locali, baretti, vinerie e associazioni culturali, ma a quei tempi veniva chiamata “il Bronx di Milano”.

“ciao, sai che ho aperto un locale in via Padova? Vienimi a trovare nel weekend, è carino!”

“ah dove si sparano? Bravo, auguri!”

Q prendeva il nome da un bizzarro personaggio di Star Trek, un semidio sociopatico e capriccioso.

Ti ricordi la prima serata? Raccontaci com’era la gente che ha popolato le mura del club durante le prime serate e se, rapportandoti ad oggi, la mutazione generazionale ha visto un miglioramento o un peggioramento, sotto ogni aspetto, musicale ma anche creativo.

Abbiamo inaugurato il 9.9.99 con l’esposizione di quadri di Amanda Lear, che prima di sfornare una hit musicale dopo l’altra era stata la musa di Salvador Dalì e aveva anche un discreto talento come pittrice.

Amanda arrivò in mega ritardo al vernissage, sul sellino posteriore del “Sì” del suo boy toy 24enne.

Trovo impossibile fare un paragone fra quei tempi ed ora, più che altro per il fatto che rispetto ad allora sono una persona completamente diversa, in questi 18 anni ho messo a cuccia il mio ego e ho decisamente fatto pace con buona parte dei mie demoni, e per questo ho metri di valutazione decisamente differenti.

Così nel giro di qualche anno, chi decide di volersi divertire, tra la scelta delle realtà presenti e affermate che ci sono, non può non imbattersi oggi, in quello che è considerato da molti, uno dei Club più belli e alternativi della città. Locale gay friendly, per molti è considerato un vero e proprio punto di riferimento della notte meneghina. Dopo tanti anni, quasi venti, è stato Carlo Mognaschi a creare il Q21 o il Q21 ha creato Carlo Mognaschi? Ti senti inoltre, complice di aver inevitabilmente influenzato lo stile musicale della città nel corso degli anni?

Riallacciandomi a quello di cui ti parlavo prima, anche il Q21 ne ha passate tante, ha avuto alti e tanti bassi, per anni è stato anche dato in gestione a dei simpaticoni che lo hanno trasformato in un locale etnico rischiando di farlo chiudere. Dal 2011 ho ripreso a gestirlo assieme a Maurino, ancora oggi il mio braccio destro (per non dire badante), e devo dire che da allora di bassi ne ha avuti ben pochi.

Credo sia stato Carlo Mognaschi a creare il Q21, non viceversa, anzi ti direi che molto spesso ho l’impressione di averlo partorito dalla mia vagina immaginaria a mia immagine e somiglianza, con tutti i suoi pregi e difetti. E non mi sento complice di nulla, se non del fatto di aver tentato di far ascoltare ai milanesi un certo tipo di musica, che magari piace meno alla gente che piace.

Nella tua ricerca musicale, proponi sempre ciò che ti piace o preferisci concentrarti anche su ciò che sei sicuro piacerà? Chi viene ad ascoltarti, ascolta la musica che piace a Carlo Mognaschi, le ultime novità in arrivo o un misto? Hai una sorta di logica creativa e di ricerca?

A 56 anni suonati sotto molti aspetti sono sempre un bambino viziato, e raramente scendo a compromessi con i miei gusti musicali, per cui chi viene alla Locanda sa che ascolterà solo quello che mi piace.

Sono della scuola che preferisce andare a braccio piuttosto che prepararsi i set in precedenza, c’è più spontaneità, imprevedibilità piuttosto che sentire uno di quei set perfettini che potevano anche provenire da un cd registrato.

(Segui Carlo Mognaschi su Mixcloud QUI).

La concorrenza con realtà sempre nuove (o quasi), e che ogni anno portano a Milano nomi affermati del panorama europeo, sembra non intaccare e influenzare il tuo percorso evolutivo ed artistico. Per rendere meglio l’idea, ti racconto un’aneddoto. Una notte di un po’ di anni fa, nonostante in città stessero suonando Nathan Fake e altri DJs, alle ore 3:00 molte persone in giro per locali, compresi i rispettivi PR, li trovai tutti al Q21 a ballare sotto la tua console, me compreso. Fu una di quelle cose che mi fece riflettere. E’ un po’ come se ci fosse un marchio di fabbrica impresso nella mente di chi ama la musica con inciso: “andiamo al Q21 che li la musica è bella”. A confermare questa teoria, è anche un dato incontestabile: a chiunque venga chiesto qual è il club più bello della città, il Q21 spunta sempre tra i primi. Tu ci suoni costantemente da quando esiste e sei uno dei pochi che può vantare una residenza così lunga all’interno di un Club in una Milano così metamorfica. Oltre alla musica che proponi e che indubbiamente piace, raccontaci qual è il tuo segreto.

Ci sono tante realtà in questo momento molto valide. Stefano, noi siamo una cosa ibrida. Noi siamo sempre considerati quelli un po’ borderline perché non siamo “moda”. Guarda me: io non mi vesto, mi copro, d’estate suono in ciabatte, per dirti, ma non coi calzini bianchi che quello adesso fa moda. Non siamo omologati, da noi può entrare chiunque indossi un sorriso e non pianti grane (a proposito, in 8 anni non una rissa). Stilare classifiche è sempre soggettivo, siamo a Milano, una città che si sta prepotentemente ergendo a livello di metropoli europea, una città dove convivono realtà giovani e potenti come il Volt, situazioni consolidate come il Dude, Discoteche storiche come il Plastic, mi viene in mente il Tunnel, e in mezzo a molte altre anche la nostra realtà. Qual’è il segreto per farla durare nel tempo? La mia intima, innata passione a far star bene la gente.

Oltre che locale gay friendly il venerdì sera insieme ai successivi after party, ha ospitato molte realtà che gli hanno un po’ tolto, forse volutamente, l’aggettivo di “locale gay”. Tutte realtà che comunque hanno avuto quell’aurea di trasgressione e sperimentazione che davano al Club una nota in più, nonostante non ne avesse prettamente bisogno. Ti va di raccontarci quali sono le realtà che ti sono rimaste nel cuore e che sono passate tra quelle mura? Quali sono i tuoi collaboratori storici e le persone che hanno contribuito a diventare quello che è oggi il Club?

Pochi gruppi ma che ricordo con molto piacere: quel gran matto di Ale Tilt, Albert Hofer, e soprattutto i ragazzi di Take it Easy, ecco loro mi sono rimasti nel cuore.

Secondo la tua esperienza, l’affermazione che identificava la bellezza o la tendenza di una realtà, come può essere quella musicale nel tuo caso, viene ancora confermata se i suoi protagonisti fanno parte del movimento omosessuale? Una volta si diceva che nei locali gay la musica è sempre la più bella. E’ ancora valida come considerazione o è stata superata? Se è ancora così allora a cosa attribuisci questa capacità? Ha senso ancora parlare di musica elettronica di genere nel 2018?

NO, ed è un NO grosso come una casa. In questo momento la maggior parte (azzarderei un 80%) della nostra comunità si sente pazzescamente alternativo in realtà come Barcelona, Ibiza, Mikonos, Miami dove in questi grossi eventi o festival viene proposta una musica, mi si consenta il francesismo, di merda, o se vogliamo rimanere nel politically correct decisamente poco all’avanguardia.

Raccontaci qualche aneddoto curioso o trasgressivo al quale hai assistito nel corso della tua carriera dentro il Q21.

Beh, caro, la maggior parte degli aneddoti, e credimi che in questi anni ne ho viste di tutti i colori, non è il caso che finiscano nero su bianco. Una di quelle che ti posso raccontare è quando una mattina in cui Obi Baby, ben conscio del fatto che mentre metto musica non mi si deve disturbare, mi viene vicino con il massimo tatto e mi dice “Carlo so che non ti posso disturbare però vorrei farti notare che li sotto le scale c’è uno per terra che mi sembra svenuto!”. Io mi giro lo vedo, non si muove. Scavalco la gente e vado a cercare il buttafuori per informarlo che c’è uno per terra che non si muove e torno in console, immaginandomi ambulanze, polizia, articoli sul giornale e tutto il resto. Dopo un paio di minuti mi arriva il capo della sicurezza ridendo e mi dice, stai tranquillo era semplicemente uno che stava leccando le scarpe alla gente in pista!

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Carlo Mognaschi – q|LAB – 2017

Cosa fai quando non lavori al Club e come trascorri le tue giornate? i tuoi interessi, le tue passioni e i tuoi viaggi extra clubbing, influenzano in qualche modo i tuoi Dj set?

Anche se siamo aperti due/tre sere a settimana, gli altri giorni sono sempre dalla tarda mattinata alla sera al locale o in ufficio, questo è un lavoro che ti impegna 24/7 se non vuoi fare la fine dei tanti locali che hanno una vita media paragonabile a quella di quelle bellissime farfalle del Costarica che vivono due giorni. Ho un giorno alla settimana, in cui cerco, molto spesso con scarsi risultati, di staccare da tutto: il LunedOFF, in cui non rispondo al telefono, non guardo whatsapp, le mail, una sorta di recovery mode durante il quale metto il cervello in stand bye, vado a nuoto, porto in giro i cani. Negli ultimi anni ho cominciato a prender gusto ai piccoli viaggi: spesso e volentieri chiudo il locale, vado direttamente in aeroporto fresco come una rosa, e mi faccio 3 giorni a Berlino, Amsterdam in periodo di ADE, Londra, Istanbul, di cui sono follemente innamorato, giusto per respirare differente aria metropolitana.

Cos’è l’amore secondo Carlo Mognaschi? Inteso come concetto più ampio, spirituale se vogliamo, in grado di racchiudere tutto quello di cui sia possibile innamorarsi, compresa la musica?

L’amore è la materia di studio che siamo venuti a imparare in questo teatrino che chiamiamo mondo fisico, incarnazione dopo incarnazione. Ad ogni giro di giostra il nostro compito è scoprire, conoscere e convertire in azioni, al meglio delle nostre possibilità, l’amore; per se stessi, per gli altri, per le cose che facciamo. Ed è materia di studio senza fine.

Che novità dobbiamo aspettarci da questa nuova stagione in arrivo?

Tante, direi: al venerdì q|LAB tornerà ad avere la sua identità iniziale di club che propone musica elettronica e di ricerca e con ospiti mensili, ti cito i primi che avremo: inauguriamo con Kain che è il resident del Coven Bar di Berlino, a metà ottobre ci sarà Roi Perez, resident del Panorama Bar, a metà novembre avremo Horse Meat Disco. Al venerdì la maggior parte dei locali propone musica facile facile, tutti quelli che non hanno voglia di sentire la Bertè, massimo rispetto per questo grande personaggio ovviamente, possono tornare a contare su di noi.

Sabato scorso è ricominciato il Toilet, è una serata fresca, scanzonata, super divertente. Due sale, una con musica “a 360 gradi”, espressione orrenda ma che rende bene l’idea, dai Queen ai Power Rangers a Myss Keta, la seconda sala con elettronica che spazia dai Depeche Mode all’elettropunk. Questa è la terza stagione che facciamo insieme, e a giudicare dal feeling reciproco mi sa che farò prima io a schiattare che loro ad andar via dalla Locanda.

Domenica abbiamo ospitato Sasha Velour, un’artista di Rupaul Drag Race, anche questo evento è andato sold out, per i prossimi dovremo cercare un locale più ampio per dar modo a tutta la gente che non ha potuto acquistare i biglietti, o ha avuto scarsa visuale delle performances, di poter godere appieno lo spettacolo.


Guarda qui il video dell’opening della nuova stagione di q|LAB – 8Hz qui:

Informazioni:

Q21 – Viale Padova 21 – Milano

Opening: 28 settembre 2018

Per sapere di più sulla programmazione 2018/2019 visita il sito qui, oppure segui tutti gli aggiornameti sulle pagine ufficiali di Facebook e Instagram.


Intervista curata da Stefano Grossi con la collaborazione di Matteo Gualeni (Internal Selection Podcast).