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Stephan Jolk, in occasione dell’odierna uscita del suo nuovo EP “New Era” su Afterlife ci parla del suo nuovo lavoro discografico e dei prossimi progetti. 

Stephan Jolk è il nome italiano di cui parliamo oggi su Italian Affair. Un’altra scommessa vinta da Afterlife, che ha annoverato il dj milanese nel suo roster, ufficializzando il suo ingresso con l’uscita a maggio 2020 del suo primo EP “Analogy”.

Dall’esordio sull’etichetta dei Tale of Us avvenuto nella raccolta “Unity” con la traccia “Doubts” , il disc jockey,nativo appunto del capoluogo lombardo, ha iniziato a tracciare le basi del proprio stile. Una techno colorata, ricca di suggestioni a paesaggi sonori. Un sound legato ad Afterlife ma declinato in maniera strettamente personale.

Dopo l’uscita lo scorso maggio di “Analogy” , sette tracce che indagavano sulla ricerca di atmosfere morbide e ricche di pathos, Stephan scrive un nuovo capitolo. L’Ep “New Era” , ( disponibile nelle varie piattaforme cliccando qui) composto dai due brani, “New Era” ed “Only One” segna l’evoluzione di un sound design, denso di qualità e profondità.

Stephan si è raccontato su Parkett, tra il nuovo lavoro discografico in arrivo e progetti interessanti come il prossimo dj set in Piazza Duomo, simbolo indiscusso della sua città natale.

Ciao Stephan. È un piacere averti su Parkett. Sei nato a Milano ma ti descrivi spesso come un cittadino del mondo. Quali sono le principali influenze culturali presenti nella tua musica?

Oggi è tutto globalizzato e la musica non è l’eccezione, ma sicuramente dei miei anni a New York qualcosa è rimasto. E’ li che sono andato a cercare le prime feste un po’ underground, ed è li che ho iniziato a coltivare il desiderio di produrre e suonare musica.

Il tuo suono è caratterizzato da atmosfere contrastanti, che si differenziano in parte dal resto del panorama techno melodico odierno. Ad esempio, vedo una reinterpretazione nella tua musica di sonorità quasi trance. È così o ritieni altri generi fondamentali per lo sviluppo del tuo sound personale?

Sicuramente un po’ di trance c’è ma penso che il mio suono sia profondamente radicato a quello di Afterlife: è da li che sono partito ed è su quell’imprint che ho basato tutto fin dall’inizio. Poi chiaramente ogni artista è riconoscibile per delle sfumature lievi ma non per questo marginali, e penso che nel mio caso ci sia un mix più orientato all’emozionale che al melodrammatico, e al solare piuttosto che al cupo. La principale caratteristica della mia musica è data da un approccio agli elementi armonici di grande semplicità e si spera efficacia. Ogni suono deve avere la sua importanza e un ruolo ben preciso all’interno del disco. Sicuramente tutto questo deriva dall’ascoltare tanta musica “ambient”/ “elettronica innovativa”, per intenderci quella di artisti come Aphex Twin, Four Tet, Caribou, Moderat.

“Analogy” è stato ufficialmente il primo EP di debutto come Stephan Jolk. Com’è nato e quando hai maturato l’idea che fosse il momento di realizzare un Ep completo?

“Analogy” casualmente (e per fortuna!) è stato il primo disco che ho inviato ai Tale of Us, e ad oggi rimane il mio disco di punta. Fin dal primo incontro c’è stata la volontà di costruirci un EP intorno.

Oggi uscirà il tuo secondo EP su Afterlife. Quali saranno le novità rispetto ad “Analogy” e cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo disco?

“New Era” fa parte della stessa famiglia di “Analogy” e “A Declaration of Love”, tutto ruota intorno alle melodie, al costruire un percorso di 5 minuti di sali e scendi di emozioni, ma c’è un ulteriore step nella direzione di fare musica tanto introspettiva quanto uplifting. Il suono principale è lo stesso, è il mio signature synth, ma sono i dettagli negli ambienti, negli arpeggi, e nella stesura che si sono evoluti. Penso anche di essere maturato come produttore nell’ultimo anno e che a livello di mixing sia un disco più completo e bilanciato.

“New Era” Cover

Quali sono le tecnologie e gli strumenti nuovi che sono alla base di quest’ultimo lavoro discografico?

Sono sempre stato dell’idea di usare pochi strumenti ma in maniera consistente ed approfondita: mi trovo bene con il Moog (sub37), il Prophet (6), e la Juno (106) che sarà anche vecchia ma non tradisce mai. Uso anche dei soft synth come Omnisphere e Serum, che sono molto intuitivi e soprattutto si possono usare anche fuori dallo studio. Usando un mix tra hard e soft synth il calore dell’analogico si amalgama con le potenzialità creative date da un setup digitale, che sono infinite.

 

In questo momento, grazie appunto a progetti discografici come Afterlife, la techno melodica sta riscuotendo un successo molto forte. Qual è, secondo Stephan Jolk, il segreto per tenere questo genere musicale legato allo spirito underground con cui è nato inizialmente?

Per come la vedo io tra il privé all’Hi Ibiza e la pista di un festival in mezzo al nulla concettualmente non c’è differenza, alla fine c’è sempre al centro di tutto la musica, il resto è un contorno. Poi certo tutto con i social è amplificato, la ricerca del suono magari non è più l’unica cosa che conta e quanto reach si riesce a dare alla musica ha preso il sopravvento, ma è un trade off che nel 2021 ci sta tutto. Più persone sei in grado di raggiungere con la musica, maggiore è l’impatto che puoi avere. La verità è che Afterlife ha dato una tale visibilità alla techno melodica che adesso artisti anche di scene più grosse prendono ispirazione da qui, ed è per questo che il sound in se viene percepito come meno underground, ma essenzialmente non lo è. Secondo me siamo solo all’inizio di questa convergenza e tra 10 anni potrebbe anche non esserci più un gap tra underground e mainstream. La differenza rimarrà sempre solo che la techno è una musica meno diretta, più riflessiva, meno immediata ma di maggiore spessore.

Ti sei esibito, durante questo momento di stop per i club a causa della pandemia, in numerosi live streaming. Quali saranno i tuoi prossimi progetti in attesa della riapertura dei club?

Sicuramente lavorare sul prossimo EP, è un circolo vizioso che non si ferma mai. A breve rilascerò anche un remix, che per me è una novità, non l’ho mai fatto prima. Stiamo lavorando anche per rilasciare una rielaborazione di un disco che è già stato suonato in lungo e in largo, Ameno. L’originale è degli Era, una band francese che canta/va con delle parole inventate. E poi ho in cantiere delle collaborazioni, con artisti della mia stessa etichetta, e non. Anche qualche data (finalmente) inizia a ricomparire, non in Europa chiaramente, ma in qualche paese più remoto dove sono più avanti con i vaccini, o dove hanno passato un 2020 relativamente più sereno. E farò sicuramente altri live: per quanto sia strano suonare senza pubblico, quanto porti un prodotto di qualità l’interazione con le persone c’è, e anche solo raccogliere e rispondere a tutti i feedback, è un modo di valutare quello che hai fatto ed evolverlo la volta successiva.

 

Com’è nata l’idea di realizzare un dj set in Piazza Duomo e cosa significa per te suonare nel luogo simbolo della tua città?

Il Duomo è un progetto che avevo in testa da più di un anno. Ci ho provato svariate volte, alla fine la perseveranza paga. Certo sono fierissimo, rispetto a tanti altri live che ho fatto in luoghi semplicemente bellissimi, questo è più sentito, è casa. Ho preparato un set tutto custom per l’evento, con anche una versione ambient di New Era, svariati dischi editati per l’occasione, e una versione con il pianoforte di Analogy.

Ultima domanda. La pandemia è stato un momento difficile per tutta la nightlife. Secondo la tua personale esperienza, questo periodo è stato utile per concentrarsi sulla produzione? Pensi che il bilancio di questo stop sia stato positivo per la rigenerazione delle idee e per avere una maggiore qualità nella proposta musicale?

Tragico direi, come per tutti del resto. Produrre di più è stata una logica conseguenza per tanti, e la qualità, che a mio avviso già da anni è alle stelle, può essere che abbia continuato il suo naturale percorso di crescita. Nel mio caso sono anni che sono focalizzato sul produrre, e forse questo periodo mi ha invece aiutato a bilanciare la mia attenzione sulle varie sfaccettature della musica, tra cui cercare nuovi modi di comunicare la e attraverso la musica, e vedere il tutto da un punto di vista più aziendale. Ci vogliono sempre delle milestone di breve e lungo periodo per misurare la crescita del progetto, e ci vogliono persone fidate per gestire ad esempio i booking, la comunicazione e il marketing. Ad ogni risorsa bisogna dedicare del tempo per instaurare dei rapporti di fiducia, e sicuramente in questo periodo mi sono dedicato molto anche a questo.