Pyramid non è semplicemente una serata: è un manifesto estetico e curato dell’underground che punta sull’identità visiva, sulla coerenza stilistica e su scelte artistiche che privilegiano l’autenticità rispetto al semplice richiamo commerciale.

Il marchio ha costruito nel tempo un’aura mitica: geometrie luminose, identità visiva triangolare, una narrativa visiva che richiama forme simboliche (piramidi, luci geometriche, installazioni minimaliste) che riflettono la musica stessa — strutture, profondità, stratificazione.

Amnesia, con i suoi spazi (Terrazza / Main Room) e la sua storicità, diventa la cornice ideale: il club con doppio dancefloor che gioca sulla dicotomia interno/esterno, luci che si fondono con l’architettura, vibrazioni sonore che si propagano in volumi differenziati. In ciascuno spazio, Pyramid sa modulare scelte produttive — luci, scenografie, placement dei DJ, movimento del pubblico — affinché ogni “sotto-serata” si senta parte di un’unica visione articolata.

Siamo stati al club domenica 22 settembre, ecco il nostro racconto.

Già dalle prime ore la Terrazza iniziava a riempirsi con attitudine contemplativa: non il solito “carica fuori tutto”, ma un ingresso graduale, come se si stesse entrando in un rituale musicale. Le luci morbide del tramonto si fondevano con installazioni geometriche ancora “spente”, lasciando spazio alla curiosità. Il rumore del pubblico si percepiva timido, come se ogni persona fosse in attesa, con le antenne rivolte verso la consolle invisibile.

Sul fronte visivo, Pyramid giocava con luci minimaliste che salivano progressivamente in complessità: fasci disegnati, ombre nette, triangoli sospesi che agivano come simboli guida — la “piramide” lampeggiante, un elemento costante, dava coesione all’esperienza. C’è qualcosa di “mistico” nel modo in cui il brand impone una dimensione quasi rituale: non sei solo in una festa, sei “nel flusso”. Questo fa emergere una complicità tra il pubblico e la direzione artistica: senti che non stai subendo un formato, ma partecipando a una costruzione condivisa.

In apertura Cici ha permeato il dancefloor di vibrazioni calorose, set che lambivano soul, vocalità, groove umani per preparare al momento più atteso della serata: il B2B tra Palms Trax e Floating Points.

L’unione tra la versatilità timbrica di Floating Points e l’approccio dancefloor di Palms Trax ha dato vita a un dialogo straordinario: non un semplice alternarsi, ma uno scambio continuo, con momenti di fusione sonora e pause sottili che ridefinivano la progressione. I primi minuti del B2B sono stati quasi introspettivi: pattern delicati, riverberi lievi, percussioni minimali che emergono da un magma sonoro quasi liquido. Poi il groove comincia a insinuarsi: linee ritmiche avvolgenti, tocchi di jazz elettronico, synth pad che si intrecciano con bassi morbidi ma penetranti. Il flusso rimane astratto, ma con una direzione chiara: fare vibrare il corpo. Sembra che ogni traccia scelta fosse una mini-storia, non solo un “pezzo da pista”.Quando il set ha virato verso territori più “club”, non ha tradito la sua anima riflessiva. Le transizioni restavano fluide, gli sbalzi controllati, eppure l’energia saliva. Non si trattava di “shock” bensì di modulazione dl’intensità: i beat non esplodevano bruscamente, ma si insinuavano. Il B2B non è stato un semplice “momento centrale”, ma la fusione di due mondi che si rispettano, creando un’unica direzione sonora, supportata dalla struttura visiva e di produzione di Pyramid.

A chiudere in terrazza la fuoriclasse Honey Dijon.

Quando subentra Honey, è come se la festa trovasse il suo epicentro: chic, queer, potente.I suoi set non sono mai solo ballabili: sono dichiarazioni d’intenti.Tra disco filtrata, house spezzata e momenti di pura euforia, la Terrazza diventa un salotto globale in festa.Luci che danzano sui triangoli sospesi, sudore che sa di liberazione, connessioni che scattano anche solo per un secondo.

Honey interpreta appieno lo spirito di Pyramid: un linguaggio proprio: geometrico, essenziale, ipnotico. È la serata che ha portato ad Amnesia un’estetica curata, mai urlata, che mette al centro il suono, la scelta musicale, l’esperienza immersiva.

In Club room entriamo per il set di Amelie Lens: una linea retta che attraversa ogni resistenza.Poche concessioni melodiche, qualche acido ben piazzato, e soprattutto un ritmo continuo, incalzante, quasi ipnotico.Le luci, nella Room, sono tagli netti, bianchi e rossi che si alternano come scariche elettriche. Non c’è spazio per le mezze misure: è energia pura, destinata a chi vuole perdere il senso del tempo.

In conclusione quello che rende Pyramid diverso da tutto il resto è proprio questo:la capacità di costruire una narrazione. Ogni artista è un capitolo, ogni spazio un’atmosfera, ogni dettaglio – dalle luci ai visual alle pause – serve a raccontare qualcosa.