Dal 25 al 27 luglio, Nextones 2025 ha trasformato una cava di granito in un enorme organismo risonante, dove il suono sembrava scolpire il paessaggio e il tempo insieme.
La maggior parte dei festival porta la musica in un luogo. Nextones sembra invece scolpito nel luogo stesso. Tra le pareti di una cava di granito dismessa e il flusso costante del fiume Toce, questo angolo di Val d’Ossola è diventato, per tre giorni, un enorme corpo risonante. Un luogo dove natura, architettura e sperimentazione elettronica si sono fuse in un unico campo sonoro.
Giunto alla dodicesima edizione, Nextones ha conquistato un ruolo importante tra gli appuntamenti dedicati alla sperimentazione elettronica in italia. Promosso dalla Fondazione Tones on the Stones in collaborazione con Threes Productions, il festival occupa spazi di archeologia industriale e natura: live audio-video, dj set, performance site-specific, attività all’aperto.. tutto è intrecciato in un territorio che modella il suono tanto quanto lo fanno gli artisti e chi vi partecipa. Il Tones Teatro Natura, una ex cava di granito trasformata in teatro a cielo aperto, diventa la protagonista delle sere del festival. Le sue pareti, che portano ancora la memoria della violenza dell’estrazione, vengono riattivate da frequenze, strumenti, luci e presenze umane. In un’epoca in cui le rovine industriali vengono spesso abbandonate o riutilizzate per fini commerciali, qui vengono ripensate come ecosistemi culturali, spazi in cui il passato si mescola al presente e il paesaggio risponde alla musica che lo attraversa.
Nextones è parte di una riflessione più ampia sulla rigenerazione e sulla relazione tra l’uomo e l’ambiente.
Eppure non è solo una questione di lavori “site-specific”. La cava non è un contenitore, ma un organismo vivo che muta insieme allo scorrere della giornata. Con la luce sembra una ferita aperta nella montagna, maestosa e verticale; con il buio si trasforma in una scultura abitabile che esiste insieme al pubblico.


La prima serata di venerdì si è aperta con Moin: non tanto una band, quanto un esperimento di cosa una band possa ancora essere. Con Valentina Magaletti alla batteria, che insieme alla chitarra e il basso scavano in un terreno post-rock, grunge, shoegaze, riportando in superficie detriti sonori rimontati in una narrativa contemporanea. Poi Aya con “Hexed” e le proiezioni di MFO, una presenza magnetica, voce instabile e vibrante, che scivola dal sussurro al grido, quasi una sfida lanciata al pubblico a farlo insieme a lei. E infine GiGi FM chiude la serata con un cambio più energico. La cava si è trasformata in un dancefloor a cielo aperto; il set preciso, intenso, ipnotico, ma il viaggio è rimasto forse un po’ sospeso.


Il sabato sera segue una traiettoria diversa. Ehua, insieme a Ruben Sonnoli, apre con “Panta Rei”, un dialogo liquido tra elettronica e percussione, un flusso che scorreva come il fiume lì accanto. Abbiamo avuto modo di discuterne con lei, della performance, del nuovo album, e di come entrambi dialogano con spazi come questo. L’intervista completa la potete trovare qui. Dopo di loro Sara Persico e Mika Oki portano “Sphaîra”, una voce che sfuma tra sogno e distorsione, costruendo assieme una cupola sensoriale più emotiva che visiva, un viaggio che è stato al tempo stesso intimo e collettivo. Poi Caterina Barbieri e Space Afrika, con “Last Track”, sospendono il tempo per un po’, tra synth e voci campionate. Da qui in poi, come la sera prima, il festival ha cambiato passo ed energia. Buttechno (Pavel Milyakov) arriva come un corpo estraneo ma necessario a quel punto della serata: un ritorno alla materia e ad una techno severa. Subito dopo, i British Murder Boys continuano a ribaltare l’equilibrio con un caos industriale, realizzando un set abrasivo amplificato dalle vocals eseguite live—uno dei momenti personalmente più intensi della serata! Infine Objekt & CC chiudono la notte con un’energia catartica, facendoci scaricare del tutto, per poi lasciare spazio a un finale sorprendentemente romantico..quasi una dichiarazione d’amore sussurrata, alla cava?

La domenica, ultimo giorno del festival, è cambiata di nuovo l’energia. Dopo due notti che si sono concluse in una tensione più ritmica, i set del pomeriggio sono stati un ascolto condiviso, dilatato, fatto di strati più morbidi rispetto agli ultimi set serali, che sembravano invece progettati per un luogo chiuso. La domenica, è stata curata da Radio Banda Larga, e che ha visto la parte del camping diventare un piccolo ecosistema sonoro a parte, con i dj set di Isaias, Stefania Vos, Ramzilla, e per concludere Trampa (live).


Quello che resta, al di là dei singoli set, è la sensazione di cura. La professionalità della produzione è stata evidente in moltissimi dettagli: dall’impianto sonoro, capace di restituire ogni sfumatura e farti sentiro avolto e coinvolto nell’ascolto, al lavoro di luci e visual che hanno dialogato perfettamente con la cava senza mai sovrastarla. Ma quello che resta è anche la calma dei giorni, quel ritmo lento che il festival è riuscito a generare fuori dai live, tra il fiume, il campeggio, e il tempo condiviso con chi era lì.