Ibiza a settembre è come una candela che si consuma lentamente, ma con fiamma ancora viva. Le folle sono meno caotiche, ma più selezionate. L’energia è quella del tramonto estivo, dolce e consapevole. E il 21 settembre, il tempio del clubbing di Marina Botafoch – il Pacha – ha visto uno degli ultimi riti della stagione, celebrato da due officianti d’eccezione: Solomun e Job Jobse.
Il Pacha non è un semplice club, è una reliquia vivente. Il suo fascino retrò-chic, con i suoi archi bianchi in stile ibizenco e i lampadari pendenti come gioielli barocchi, riesce ancora a imporsi nella giungla di superclub tecnologici. Entrarci è come varcare la soglia di un luogo epicureo: odore di incenso, sudore e lusso disinvolto. Ma dietro l’apparenza glamour, c’è un’anima che vibra forte. La main room era già densa di aspettative, mentre fuori la notte si srotolava lenta.
Job Jobse ha aperto come un sarto visionario: cucendo trame sonore con ago sottile e mani febbrili. La sua selezione è stata un mosaico emotivo: house melodica, accenni trance, breakbeat atmosferici.
In certi momenti sembrava stesse leggendo le emozioni della pista come fossero spartiti. Un highlight? Un edit galattico di “Age of Love“, che ha acceso la pista come un fuoco sacro dimostrando che un istant classic può uscire fuori dagli schemi con un remix contemporaneo. Il suo set non è staro solo un warm-up: ci piace definirlo un’ode alla possibilità, perché i suoi set non sono mai uguali a se stessi, e perché a priori che il suo stile possa piacere o meno, Job non smette di arricchire di significati nuovi la parola Selector.

Solomun, invece, è apparso come una figura mitologica leggermente stanca del proprio culto. Il suo set, seppur impeccabile dal punto di vista tecnico e fedelissimo al suo marchio di fabbrica – deep house melodica, costruzioni lente, transizioni cinematografiche – ha mostrato segni di prevedibilità. Non ha deluso, ma nemmeno spostato.Il
Il controllo è rimasto sempre suo, quasi troppo. Ogni drop era calcolato, ogni cambio timbrico sembrava scritto in anticipo, come in un copione ben rodato. La folla lo ha seguito fedelmente, ma senza quella vibrazione reale, viscerale, che trasforma un DJ set in un’esperienza memorabile.

Nell’ atmosfera magica del Pacha con un sound system che ancora una volta si conferma tra i migliori nell’ ecosistema clubbing europeo il rischio paga sempre. Chi sporca la pista vince, e forse Solomun poteva rischiare di più in una notte ricca delle celeberrime good vibes come quelle della domenica al Pacha.
