Il nuovo format musicale ,ideato da Raffaele Arcella in arte Whodamanny e prodotto da Soul Express, verrà presentato ufficialmente il 25 dicembre al Club 21 di Napoli con Whodamanny all night long.
In un panorama clubbing sempre più frammentato e accelerato, Biloba Club nasce come una presa di posizione chiara: rallentare, ascoltare, costruire un racconto sonoro coerente. Il progetto prende il nome dall’etichetta Biloba, fondata da Whodamanny, e ne traduce l’estetica in una dimensione dichiaratamente club-oriented.
Qui il club non è solo un contenitore, ma uno spazio narrativo: i set sono pensati come viaggi estesi, spesso all night long, in cui disco, italo, funk, house e influenze latin si intrecciano in modo organico, senza gerarchie forzate o picchi programmati.

Figura centrale della scena elettronica europea contemporanea, Whodamanny è parte del nucleo creativo di Periodica Records e ha collaborato negli anni con progetti come Nu Genea, Mystic Jungle, Milord, Masarima, I Coccodrilli, contribuendo a definire un suono che affonda le radici nella tradizione musicale italiana ma guarda con decisione a una dimensione internazionale. Il suo lavoro, sia in studio che in console, è guidato da un rapporto diretto con la pista: groove, dinamica e contesto diventano elementi strutturali di una selezione sempre funzionale e riconoscibile.
Non è un caso che Soul Express abbia scelto di sviluppare Biloba Club. Il collettivo napoletano condivide la stessa visione del club come spazio di ascolto e di relazione, dove il tempo lungo permette a chi suona e a chi balla di costruire un’esperienza comune, priva di sovrastrutture. Per Soul Express, Biloba Club è un format solido e identitario, capace di dialogare con pubblici diversi senza perdere coerenza.
In occasione della presentazione del party abbiamo incontrato Whodamanny per approfondire il percorso che lo ha portato fin qui: dalle origini del suo progetto artistico alla costruzione di un linguaggio sonoro riconoscibile, fino alla nascita di questa nuova produzione condivisa con Soul Express. Ne è nata una conversazione che attraversa musica, club culture e visione, mettendo a fuoco l’identità di un artista per cui il rapporto tra suono, contesto e ascolto rimane centrale.
Ciao Raffaele e benvenuto su Parkett Channel, partiamo un po’ dagli inizi: da dove nasce Whodamanny come progetto artistico e quali sono stati i primi riferimenti musicali che hanno segnato il tuo percorso?
Ciao Parkett! Whodamanny nasce dalla confusione giovanile, un alter ego come Batman, per dare un nome alle mie emanazioni artistiche musicali, ne ho fatte tante, dal teatro allo street writing, e per ognuna di quelle ho scelto un nome diverso. Whodamanny è preso da una serie TV americana che mandavano su MTV ed è ciò che più mi è rimasto di quella confusione giovanile; oggi l’ho educata, ho imparato a gestirla proprio come fanno i supereroi, ma si sa che dal caos nasce sempre la bellezza. Ho iniziato ad ascoltare i Beatles, ero bravo con i balli latinoamericani e le canzoni mi piacevano molto. Dopo ho scoperto l’house music e la musica da cui questa si è evoluta: la versione 1.0 dell’house è la disco music. In Italia si faceva in modo diverso e particolare, mi ha sempre affascinato: i Righeira…
La tua musica è spesso descritta come profondamente legata alla tradizione italiana ma allo stesso tempo internazionale. Come si è costruito questo equilibrio nel tempo?
Il caos, come dicevo, una tribolazione continua, sbattuto letteralmente a destra e a sinistra dai miei istinti, dalla curiosità di conoscere persone, le loro idee, scoprire… Non mi sono mai posto limiti, ho trovato spesso il bello e poi, man mano, cercando la mia strada ne ho trovate tante. Il messaggio è la chiave, ed avere il proprio linguaggio per trasmetterlo è importante.Ho
Ho scritto e lavorato a canzoni in italiano, in inglese, in francese, in giapponese, in napoletano, addirittura in bosniaco con il mio amico Igor Lovski, e negli ultimi anni ho iniziato a scrivere canzoni in spagnolo, a cui ho appunto dedicato l’etichetta Biloba.
L’equilibrio è frutto di tante cose fatte, il quadro completo. Dopo circa 15 anni di discografia mi rendo conto che è vasto, ma l’italianità è sempre al centro: come stile, gusto, tutto.

Produzione e DJ set sembrano dialogare costantemente nel tuo lavoro. In che modo il club e la pista influenzano il tuo modo di produrre musica?
Il club per me è fondamentale, è un’esperienza che dà vita alle idee. Devo dire la verità: se un brano, una bozza, un’idea non è “catchy”, come dico io, non va bene. Qualunque sia la velocità del brano a cui si sta lavorando, nel mio studio mantenere la tensione è fondamentale. L’obiettivo è che il mio pezzo sia la HIT del set più di altre tracce, quella che tutti ricordano e cantano subito dopo, neanche un minuto di canzone.La
La mia musica non è mai una “odorata di piedi” fine a sé stessa, un esercizio di stile: ci deve essere sempre un messaggio e una fruibilità, e soprattutto il sound deve risultare interessante e in linea con i dischi che propongo in serata. Penso sempre a quanti DJ come me suonano determinati dischi e a quanto poi risulti difficile inserire un brano nuovo in quella selezione: ecco, i miei pezzi sono sempre studiati per essere suonati da me e da altri DJ che, come me, propongono un determinato stile e genere.
Sei parte del nucleo creativo di Periodica Records e hai collaborato con molti progetti della scena italiana ed europea. Cosa ti hanno insegnato queste collaborazioni e quanto hanno inciso sulla tua identità sonora?
Quando ho conosciuto i miei compagni Dario Mystic Jungle (fondatore e proprietario di Periodica Records) ed Enrico Milord, tutte le mie disparate influenze hanno iniziato a prendere forme più precise e soprattutto con un progetto dietro ciascuna idea, ogni volta intelligente e ben pensato, frutto del teamwork che ci contraddistingue. L’apertura di Futuribile, il negozio di dischi fondato da Dario e Cristiano (presidente di Soul Express appunto), fu un momento chiave per definire ancora meglio i miei gusti. Lì ho conosciuto tutta la musica giusta degli anni ’70 e ’80, italiana e internazionale: ho potuto ascoltare dischi e carpirne l’essenza, ho trovato il mio suono. In Periodica Records, al West Hill Studio di Dario e al mio Biloba Studio, abbiamo una visione chiara e definita su come fare le cose: è più importante il procedimento di qualunque altro passaggio, toccare con mano, processare i suoni in modo personale e applicare le tecniche di studio giuste per ottenere il risultato desiderato. Questo spirito “fai-da-te” è l’essenza dell’essere unici e diversi dagli altri, perché come lo farai tu nessuno mai potrà farlo, indipendentemente da cosa. Questo mi ha dato Periodica Records e tutti i lavori svolti fino ad ora.
Il groove è un elemento centrale nella tua ricerca. Cosa significa per te “groove” oggi, e come lo riconosci quando una traccia o una selezione funzionano davvero?
Il concetto di groove… beh, lo collego all’andamento: l’andamento delle cose, l’andamento ritmico delle cose. Secondo questa mia interpretazione, il groove è ovunque, in ogni movimento che sia fisico, spirituale o mentale. Groove vuol dire armonia, piacere fisico. A meno che non sia desiderato, un andamento a-ritmico, fuori tempo, un flusso spezzato a intervalli non costanti non è piacevole, non è nella natura umana essere in disarmonia. È pur vero che ognuno ha il suo, e nella musica questo è molto personale. Per me “Boom-Cha, Boom-Cha” mi arriva sempre dritto al cuore.
Biloba è prima di tutto un’etichetta discografica. Raccontaci la storia di Biloba e quando è nata l’idea di tradurne l’estetica in un format club.
Biloba è la mia prima etichetta discografica personale, il luogo dove do spazio a tutte le mie produzioni e collaborazioni, è il luogo dove tutto il mio flusso creativo caotico e tempestoso si organizza e prende forma. E la stessa cosa vale per Biloba Club: è il mio club, lo spazio che per la prima volta, dopo tanti anni, decido di dedicare a me e basta. È il salotto dove posso invitare i miei amici, un luogo dove il tempo si dilata, dove posso dire stop alla giostra frenetica in cui siamo costretti a divertirci senza avere il tempo di conoscerci. La biloba è un albero: mi immagino alla sua ombra, rilassato e coccolato, mentre fuori tutto è schiacciato da un caldo torrido, un sole forzato 24h in modalità ON…
Come nasce l’incontro con Soul Express e cosa ti ha convinto che fosse il collettivo giusto per sviluppare questo progetto? In che modo la visione di Soul Express ha influenzato la costruzione di Biloba Club, sia dal punto di vista musicale che concettuale?
Siamo prima di tutto amici. Amici al di fuori della musica e del lavoro, e tutti quelli che fanno parte del collettivo sono miei amici prima di tutto. E sinceramente vado molto fiero di avere degli amici così forti, veramente in gamba, energetici e uniti fra di loro: sono una grande famiglia. Era da un po’ che cercavo un modo per essere più presente in città, ritornare ad avere una specie di residency, trovare un modo per dare un senso alla mia presenza, ed è stato facile immaginare e creare questa cosa con loro: è venuta da sé. Io sono un ragazzo molto sensibile, estremamente sensibile. Sono timido, anche se non si direbbe, ma sono estremamente timido. Con loro mi sento a casa, mi sento di non essere mai di troppo. Oggi, ahimè, l’offerta supera la domanda, è innegabile: non c’è bisogno dell’ennesimo supereroe, e nemmeno dell’ennesimo anti-eroe. L’attenzione? Non ne parliamo proprio… ai party Soul Express avverto l’attenzione, avverto la voglia di ascoltare musica e di ballare. Con molti dei ragazzi del collettivo condivido anche spazi di lavoro in studio: Fabio e Marco sono spessissimo da me per finalizzare progetti della loro etichetta. Insomma, il filo fra di noi è solido e l’ingranaggio è ben oleato già da anni; questa unione è stata veramente un passo naturale.

Il debutto di Biloba Club avverrà a Napoli, una città con una forte identità musicale. Che rapporto hai con Napoli e cosa rappresenta per te partire da qui?
Dico sempre che da Napoli non andrò mai via, nonostante la musica sia un magnete verso altre parti del mondo. Mi piace viaggiare, ma poi voglio ritornare sempre qui. Con tutti i difetti, tutte le problematiche, i limiti e le difficoltà, Napoli è le mie radici ed è una città di cui ancora non conosco tutto: è la mia città e non la conosco al 100%. Sono figlio d’arte: mio padre ha fondato ed è ancora parte integrante e attiva de Il Giardino dei Semplici, una band decisamente acclamata. Ho avuto la Napoli musicante in casa da sempre, mio padre collaborava con gli Squallor, così per dirne una. Da sempre non è stata una piazza facile, per quanto a Napoli il pubblico sia molto emozionale. Come con la guida di un’automobile, mi piace pensare che se impari a guidare a Napoli poi sai guidare ovunque. Ci sono festival di musica dove è veramente facile esprimere la parte più ricercata di sé e raccogliere consensi; qui a Napoli il pubblico è sempre stato esigente e mi ha insegnato a dare tanto, sempre tutto, il massimo.
Biloba Club è questa energia, una cosa a cui le persone che non sono di qui non sono abituate. Io quando suono fuori Napoli o fuori Italia, dopo la gente sta in crisi adrenalinica perché li ho fatti saltare tre metri di altezza: non sono abituati…
Biloba Club è pensato per crescere e adattarsi nel tempo. Come immagini l’evoluzione del progetto?
Mi piacerebbe per una volta nella vita non avere aspettative, vivermi l’esperienza senza forzarla o guidarla verso nulla di prestabilito. Non so che musica farò domani mattina e non voglio saperlo. Ho il desiderio della sorpresa e voglio prima di tutto sorprendere me stesso. Sicuramente sarà molto divertente portare questo format in giro, fuori Napoli, fuori Italia…

Guardando al tuo percorso finora, cosa senti di aver chiarito come artista e cosa invece è ancora in continua trasformazione?
Oggi mi sento al 2% del mio percorso. Io, personalmente, non ho chiarito nulla di me stesso e non voglio farlo: non voglio pormi limiti, etichettarmi, non voglio dire “io sono questo”. A me piace essere lasciato libero di interpretare le cose a mio modo e desidero che le persone facciano lo stesso con me.
Non sono il tipo che bombarda di pubblicità per farti sapere che è uscito il mio nuovo inutile pezzo o il mio nuovo inutile mixtape; lascio sempre alle persone decidere cosa è rilevante per ciascuno, a modo proprio. Una cosa che credo di aver capito, però, è che nulla è scontato: non è un procedimento chimico “metti questo, aggiungi questo ed et voilà”, non è come fare i dolci.Ho
Ho chiarito bene a me stesso che non c’è una ricetta del successo o un metodo prestabilito, scolastico, teorico, accademico per raggiungere un obiettivo. Sono contro i metodi imposti. Ciò che è in costante trasformazione per me è come veicolare il mio lavoro: ogni giorno cerco un modo nuovo e diverso di fare la stessa cosa e farla meglio, più interessante, più intrigante, evolverla. Sono come un caleidoscopio: cambio forma in base alla prospettiva.
Grazie Raffaele per aver condiviso con noi il tuo percorso, le tue riflessioni e l’energia che anima Biloba.
Grazie a voi, davvero. È stato un piacere raccontarmi e condividere questo momento.
