L’underground è ormai diventato desiderio, status, oggetto da collezionare. Keinemusik è il caso lampante di questo paradosso, ma la riflessione va oltre: da comunità a élite, da esperienza autentica a spettacolo confezionato , il volto del clubbing contemporaneo sembra aver cambiato forma.
C’era un tempo in cui Keinemusik era un segreto da custodire gelosamente, un nome che facevi cadere con noncuranza tra pochi amici: se l’altro non capiva, non era del giro. Erano i figli di una Berlino sotterranea, produttori di vinili in tirature limitate, DJ con l’unico scopo di rendere la notte un po’ più lunga. Oggi lo stesso collettivo è un marchio globale, simbolo di un clubbing trasformato in format da esportare: musica come status, esperienza premium, appartenenza ad un gruppo esclusivo e riconoscibile ovunque.
La loro ascesa è stata rapida, chirurgica. Nel 2009 fondano l’etichetta, quasi per gioco. Dal 2016 esplodono, e nel 2018 arrivano persino dentro GTA V, nel DLC After Hours. Non è un dettaglio marginale: essere resident DJs in un videogioco mainstream significa non essere più soltanto artisti, ma avatar digitali di uno stile di vita. Non si va più al club per ascoltarli: li si incontra sullo schermo, in un universo che simula Ibiza, diffondendo il mito a milioni di giocatori. Qui si è consumato il passaggio definitivo: dal culto underground al prodotto globale, dal rito notturno alla narrativa esportabile.
La loro estetica oggi conta più della musica. Strutture monumentali, il Kloud sospeso sulla consolle, scenografie mastodontiche con scritte giganti sulle montagne come l’Hollywood Sign. La pista non è più un luogo di liberazione, ma un set fotografico: balli con il telefono alzato, catturi il cielo rosa dietro la silhouette dei tre, il glitter sulla guancia prima che il sudore lo sciolga. Questo è il linguaggio Keinemusik: estetica condivisibile, replicabile, instagrammabile.
Per capire quanto sia cambiata la cultura del clubbing basta osservare i vestiti. Negli anni ’90, chi frequentava l’Echoes (e non solo) passava la settimana a cucire, modificare, reinventare i propri abiti. Non era moda o ostentazione, ma atto creativo. La logica era opposta all’omologazione: ognuno cercava di essere unico, riconoscibile, irripetibile, non per emergere dal gruppo ma per farne parte davvero. La comunità stessa definiva il valore di quei gesti, trasformando ogni dettaglio sartoriale in codice estetico collettivo.
Oggi l’abbigliamento nei party Keinemusik è quasi una divisa: camperos, frange western, strass e perline ovunque, glitter sul volto, capelli intrecciati come da tutorial. Non è espressione personale, ma linguaggio globale: ti garantisce di appartenere alla stessa tribù estetica, non importa che tu sia a Ibiza, Mykonos o Ostuni. Un codice che non distingue, ma unifica. È la quintessenza del luxury clubbing: rituale identico ovunque, scenografie grandiose, dress code condiviso, pensato più per essere visto che vissuto.
La Puglia è forse il laboratorio più chiaro di questo fenomeno. Negli anni Duemila si ballava tra capannoni abbandonati e spiagge nascoste, con casse portate a spalla e generatori che saltavano molto prima dell’alba. Oggi lo stesso desiderio si celebra con biglietti oltre i 100 euro e pacchetti premium che includono bottiglie, transfer privati, camerieri in camicia bianca. Stesso desiderio di perdersi, ma confezionato come prodotto di lusso. Non più comunità improvvisata, ma palcoscenico perfetto per la foto di gruppo al tramonto.
Ed è qui il nodo: i Keinemusik non sono colpevoli di nulla. Hanno intuito il desiderio del loro tempo e lo hanno tradotto in linguaggio. Non è la loro musica a cambiare il clubbing, è il pubblico che ha chiesto altro: spettacolo, esclusività, appartenenza estetica. L’underground, un tempo definito in opposizione al mainstream, oggi è fagocitato e rivenduto come lusso. Chi attraversa l’Europa per seguirli non lo fa per fame di musica, ma per appartenere a un circuito estetico, collezionando date come trofei. Partecipare diventa un segnale: “io posso permettermelo”.
Il trio berlinese ci aiuta a leggere l’evoluzione della nightlife contemporanea. I loro eventi attirano banchieri e influencer, giovani con tempo e disponibilità, folle in uniforme da ravers convinte di vivere l’underground mentre ballano un edit tech-house di Bad Bunny. E allora la domanda è inevitabile: cosa cercano oggi i grandi collettivi, i festival, i brand che dominano la scena? Comunità o élite? Forse entrambe, ma la bilancia pende verso la seconda.
Il The Loft di Mancuso a New York, il Warehouse di Frankie Knuckles a Chicago, tutti luoghi in cui la musica era necessità, identità, liberazione. Non contava il format, contava la fragilità irripetibile del momento. Oggi lusso ed esclusività sono la nuova faccia del mainstream.
La vera questione non è se Keinemusik siano ancora underground (non lo sono da tempo), ma se noi, come pubblico, sappiamo distinguere tra esperienza e prodotto, tra rito collettivo e consumo estetico. Forse no. Forse ci basta la foto perfetta da postare, mostrare che indossiamo Prada, Miu Miu o Balenciaga e il video di noi dietro la consolle. Ma allora la verità è che non stiamo ballando: stiamo partecipando a una messa in scena, pagando caro il biglietto per illuderci che sia ancora clubbing.
