Portogallo, primi anni Novanta: la musica dance conosce uno dei periodi più prolifici, come d’altronde sta succedendo nel resto dell’Europa e del mondo.
In quest’epoca, che sembra vicina ma poi così vicina non è (sono passati più di 30 anni!), rave party di proporzioni epiche e nuove sonorità plasmano quello che allora era conosciuto come “Underground house music from a paradise called Portugal“.
Del fenomeno se ne è occupato Paraíso, un film/documentario uscito il 4 maggio di quest’anno, diretto da Daniel Mota e prodotto dal DJ e producer João Ervedosa aka Shcuro, e dalla DJ, producer, vocalist e graphic designer Maria Guedes aka Maria Amor.
Di seguito, il trailer di Paraíso:
Già dalla sola visione del trailer di Paraíso, sono numerose e forti le emozioni miste a malinconia che trasudano dalle parole di alcuni dei protagonisti, che col sorriso e gli occhi che brillano ricordano e raccontano degli anni Novanta e della scena dance come se si trattasse di un periodo mitico e irripetibile:
“Gli anni Novanta… per noi era tutto nuovo, stavamo scappando dalla comodità dei club […] Abbiamo organizzato questo rave nella regione di Algarve [la regione più meridionale del Portogallo rinomata per le sue scogliere dorate, le spiagge di sabbia soffice, le cittadine pittoresche e la cucina deliziosa – n.d.r.].
Ci dissero che sarebbe stato l’ultimo ad essere organizzato lì, perché non ci avrebbero permesso di organizzarne un altro. Fare rave era per noi un modo di esprimersi, da condividere anche. Eravamo affascinati dalla musica, dai club, dall’illusione delle luci, dalla festa! In quella zona alla gente piaceva fare festa, piaceva divertirsi anche fuori orario. E il Portogallo era fuori orario. Erano tempi folli! […] I ragazzi, quando venivano qui in Portogallo, lo chiamavano Paradiso: ‘Un Paradiso chiamato Portogallo dove tutto è permesso’”.
Paraíso, che ha avuto la sua prima all‘IndieLisboa, festival cinematografico che si tiene ogni anno nella capitale portoghese con l’obiettivo di avvicinare il pubblico al cinema indipendente promuovendo film che non raggiungono il normale circuito di distribuzione, è stato proiettato pochi giorni fa, esattamente il 22 novembre scorso, al Melkweg di Amsterdam, tra l’altro dopo la proiezione di un altro documentario dalle tematiche molto vicine, Rotterdam Rave Culture: 30 Years Of Heritage.

Paraíso, attraverso filmati esclusivi e interviste a DJ, produttori, ballerini e promoter, in 78 minuti racconta la storia dell’origine e dell’evoluzione del movimento dance portoghese, nato nei primi anni Novanta durante l’ascesa della rave culture, e della sua duratura influenza sulla musica elettronica mondiale, trasportando gli spettatori dietro le quinte di feste underground e nel bel mezzo di enormi rave, a cui partecipavano migliaia di persone, tenutisi in luoghi affascinanti come castelli.
Le testimonianze dirette presenti nel documentario sono 38: molte di esse provengono da personaggi considerati dei veri e propri pionieri della scena dance portoghese.
Sono presenti, tra gli altri, Yen Sung, storico DJ resident del Lux Frágil, e Rui da Silva, noto per il successo “Touch Me”. Nel docufilm appare anche Danny Tenaglia, DJ divenuto famoso a livello internazionale per aver remixato l’iconico brano “Underground Sound Of Lisbon - So Get Up” (nel 1994 suonò anche al leggendario rave tenutosi nel castello medievale di Santa Maria da Feira).
Il progetto di Paraíso, ideato e prodotto da João Ervedosa e Maria Guedes, è nato e si è sviluppato nell’ambito di un loro programma radiofonico, intitolato anch’esso Paraíso, che è andato in onda su Rádio Quântica a Lisbona, dove spesso venivano intervistate figure chiave della scena dance portoghese, come per esempio Luís Leite. È accaduto anche che alcuni dei loro ospiti, durante le trasmissioni, abbiano menzionato vecchi flyer e filmati girati all’epoca e conservati nelle proprie case, ispirando a Ervedosa e Guedes l’idea di dar vita a un documentario.
Intervistato da DJ Mag, Ervedosa ha sottolineato che quel programma radiofonico da solo non poteva essere sufficiente per raccontare la storia della rave culture portoghese, poiché mancava un elemento cruciale: quello visivo.
“Abbiamo capito fin dall’inizio che la radio non sarebbe stata il mezzo ideale per raccontare questa storia, sarebbe stata una storia incompleta, carente da lato visivo”.
Everdosa e Guedes hanno raccontato di aver setacciato “tre o quattro grandi borse IKEA piene di VHS”, esaminando filmati che mostrano programmi televisivi portoghesi registrati in casa o feste in cui si vedono i DJ con cui erano cresciuti oltre ad alcune celebrità di quando erano bambini, tutti che ballavano e si divertivano a un rave organizzato al castello di Santa Maria da Feira, sottolineando come quei party sembravano esser usciti fuori da un film del futuro, con persone di vario tipo e di tutte le età, provenienti da ogni parte del mondo.
Agli inizi degli anni Novanta, dunque, la scena rave non solo era arrivata in Portogallo, ma aveva portato con sé molte influenze dal Regno Unito in termini di musica e stile. Chi non ricorda, per esempio, i mitici anfibi Dr. Martens, in particolare gli iconici 1460, divenuti uno dei simboli della rave culture anni Novanta? Quegli anfibi furono scelti all’epoca dai ragazzi portoghesi come calzature “ufficiali” non solo nell’ambito della musica dance ma anche in contesti appartenenti ad altre sottoculture.

Per dare vita al documentario Paraíso, Everdosa e Guedes si sono rivolti al regista Daniel Mota, iniziando a organizzare e a video-registrare numerose interviste sin dal 2017, adottando un approccio DIY. Inoltre, si è proceduto alla meticolosa digitalizzazione di circa mille fotografie opera del fotografo Da Fonseca, in quanto erano in condizioni pessime e necessitavano di essere qualitativamente migliorate.
A detta di Mota – che parla del suo Paraíso come di un documentario capace di rappresentare e raccontare in modo accattivante la cultura rave degli anni Novanta in Portogallo – dopo quell’epoca d’oro la musica dance ha conosciuto, purtroppo, una transizione commerciale, ed è risaputo che quando per esempio i media raggiungono le scene underground, le sottoculture, come quella rave, perdono il loro spirito genuino e originario e sono in un certo senso già finite, inglobate da quelli che sono i dictat del mainstream del momento.
